venerdì, aprile 29, 2005

Si stava meglio quando si stava peggio?

da corriere.it
«Nel Dopoguerra ci fu chi progettò di cambiare la lira. Ma saggiamente Einaudi disse no»
L’economista Franco Spinelli: «Le lezioni dell’introduzione del franco pesante e del sistema decimale per la sterlina»

Il precedente storico è l’unificazione monetaria all’indomani dell’Unità d’Italia . «Ma venne unificata solo la moneta metallica, il mezzo di pagamento di gran lunga predominante rispetto ai biglietti di carta. Per avere le stesse banconote in tutta Italia bisognerà aspettare il 1926», spiega Franco Spinelli, docente di Economia monetaria all’Università di Brescia. Pur essendo tutti denominati in lire e accettati sull’intero territorio nazionale, i biglietti conservano grafica diversa a seconda degli istituti di emissione che li producomo e che fino al 1893, anno di fondazione della Banca d’Italia, sono sei (tra questi la Banca nazionale degli Stati sardi, due banche del Granducato di Toscana e la Banca dello Stato Pontificio). Da quella data in poi ne restano invece tre: oltre a Bankitalia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. E’ Mussolini, nel 1926, a cambiare le cose con un decreto, che autorizza solo la Banca d’Italia a stampare banconote. [leggi il commento all'articolo]

Il secondo passaggio storico è il tentativo (fallito) nel secondo Dopoguerra. «Ci fu un ampio dibattito: c’era chi voleva sostituire le vecchie lire con nuove banconote e chi chiedeva invece solo una sorta di "vidimazione". L’obiettivo era di tassare chi si era arricchito con il fascismo e che, per timbrare le banconote, avrebbe dovuto tirare fuori i biglietti dai materassi», racconta Spinelli.
Tutto era pronto per il changeover . «Presso la Banca d’Italia è depositato un documento in cui è elaborato il piano tecnico per ritirare nella notte l’intera massa di banconote: si sarebbero usati i camion dell’esercito. Erano perfino state preparate le matrici, che furono anche rubate da due operai. Prevalse però l’anima liberale. Fu la saggezza della Banca d’Italia e, in particolare, di Luigi Einaudi ad opporsi all’abbandono della vecchia lira» , dice Spinelli.

Se allarghiamo l’orizzonte all’Europa, sono numerosi i casi in cui assistiamo al passaggio da una moneta a un’altra. La Germania dell’iperinflazione abbandona il marco che non vale più nulla negli anni ’20. In Francia il generale De Gaulle, nel secondo Dopoguerra, adotta il franco pesante. Più recente è l’esempio della Gran Bretagna , che nel 1971 decide di abbandonare la tradizionale divisione della sterlina e dei pence (1-12-20), che risaliva addirittura a Carlo Magno (una sterlina uguale a 12 soldi, un soldo uguale a 20 denari), per passare al sistema decimale. «Ero nel Regno Unito in quel periodo e ricordo le difficoltà delle persone, soprattutto gli anziani, ad abituarsi alla novità. Ci furono addirittura casi di suicidio riportati dai giornali» , ricorda Spinelli.

Nel secolo scorso mancano esempi di unioni monetarie, tutte fallimentari. Nel 1866 nasce l’Unione monetaria latina tra Belgio, Francia, Italia, Svizzera e Grecia : l’intesa prevede un rapporto di 1 a 1 tra le divise degli Stati aderenti, monete e banconote vengono accettate sull’intera area, ma senza unificazione fisica. Ma dopo dieci anni l’accordo è già finito, indebolito sul nascere da problemi politici e commerciali soprattutto tra Francia e Italia. Stesso destino tocca all’unione monetaria tra Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca nel 1870 e al tentativo austro-germanico all’incirca nella stessa epoca. «Il punto è che il cambiamento di una moneta è un passaggio storico delicato che va gestito con grandissima attenzione, perché implica notevoli problemi tecnici e psicologici, oltre che economici», afferma Spinelli. Una preoccupazione che ben si riflette nell’estrema semplicità delle nuove banconote in euro. Essendo tutte uguali per i 12 Paesi, devono essere comprensibili in ogni lingua. Così sono sparite tutte le scritte superflue: c’è solo la parola euro e la scritta della Banca centrale europea.

Giuliana Ferraino
23 agosto 2001

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