domenica, dicembre 31, 2006

Le concessioni della FED alla Zecca degli Stati Uniti

Le nuove monete da 1 dollaro degli USA (dal 2007 al 2016) con i volti dei presidenti

10/12/2006 0.1 - Astrea

Dopo il “Presidential Coin Act” del 2005, che prevede l’emissione di monete da 1 dollaro per ricordare i presidenti americani, nel 2007 la Zecca degli Stati Uniti metterà in circolazione 4 splendide monete, emesse a distanza di 3 mesi l’una dall’altra, dedicate rispettivamente a George Washington, Thomas Jefferson, John Adams e James Madison.

La serie sarà inaugurata il 15 febbraio da George Washington (22 febbraio 1732 - 14 dicembre 1799), generale e comandante dell'esercito americano nella guerra di rivoluzione (1775–1783) ed primo Presidente degli USA (1789 - 1797): la moneta da 1 dollaro color oro recherà, come le altre che seguiranno, sul dritto l’immagine del presidente e l’indicazione degli anni in cui ha svolto il mandato; sul bordo troveremo le tradizionali iscrizioni “E PLURIBUS UNUM” e “IN GOD WE TRUST”. Sul retro del conio, invece, sarà raffigurata la statua della libertà e saranno impresse le iscrizioni “THE UNITED STATES OF AMERICA” e “$1”.

La Federal Reserve, con questa iniziativa, si propone di permettere l’utilizzo di più monete al posto delle banconote perché, secondo varie stime, ciò farebbe risparmiare al governo circa 500milioni di dollari all’anno. Infatti, anche se le monete prevedono maggiori costi di produzione, esse durano circa 30 anni, mentre le banconote si usurano più facilmente, e quindi restano meno tempo in circolazione.

Come afferma Barbara Hagenbaugh e conferma un sondaggio, gli statunitensi accetteranno le monete da 1 dollaro solo se le corrispondenti banconote saranno tolte dalla circolazione.

“Le nuove monete presidenziali da 1 dollaro sono modo efficace e divertente per imparare sui presidenti del passato”, ha affermato Edmund C. Moy, direttore della Zecca statunitense.

L’ attività promozionale delle monete punterà a incitare la curiosità degli americani sulla figura di ciascun presidente: la Federal Reserve si augura che siano gli stessi americani a richiedere le monete, spinti dal desiderio o dalla curiosità di conoscere meglio vita e operato dei presidenti.

continua su: http://www.banconotemondiali.it/articolo.asp?id=435

mercoledì, dicembre 27, 2006

Continuano le manovre per sputtanare le banconote cartacee da parte dei giornalisti prezzolati da Il Grasso Bankiere© (ovvero il 99,9%)

Cocaina sul 94% delle banconote in Spagna
Reuters - Dom 24 Dic

MADRID (Reuters) - Tracce di cocaina si trovano sul 94% delle banconote in Spagna, un paese con una delle percentuali più alte di consumatori della droga, secondo uno studio pubblicato oggi.

I cento biglietti presi in esame sono stati raccolti in palestre, supermercati e farmacie in giro per la Spagna, dove la cocaina è diventata sempre più accessibile grazie al maggior afflusso e al calo dei prezzi di vendita per strada.

La cocaina ora si vende a 60 euro al grammo, o 5 euro a striscia, e viene regolarmente usata dall'1,6% degli spagnoli, in crescita rispetto allo 0,9% del 1999, diceva un rapporto governativo questo mese.

Non è chiaro quante delle banconote in questione siano state usate per sniffare cocaina e quante si siano invece sporcate al contatto con altri biglietti, secondo lo studio del laboratorio Sailab, pubblicato dal quotidiano El Mundo.

*da: http://it.news.yahoo.com/24122006/58-59/cocaina-94-delle-banconote-in-spagna.html

lunedì, dicembre 25, 2006

Ma che ce frega, ma che c'emporta..noi bankieri all'arte* je sputamo 'nfaccia..


noi bankieri all'arte je sputamo 'nfaccia..
e poi je dimo..
e poi je famo..
tu nun ce rendi e noi te cacciamo
mapperò..
noi semo quelli..
che se stammmmpenòòooo li sòrdi
e del teatro bello tu-u-u-o
noi ce ne fregamo, olè

BANKITALIA VENDE IL SALONE MARGHERITA A 15.000.000 DI EURO

Attori e comparse facciano bagagli e bagaglini e fuori dalle balle!




BANKITALIA VENDE IL SALONE MARGHERITA

La Banca d’Italia ha messo in vendita il Salone Margherita di via Due Macelli, storico spazio scenico della capitale su cui si sono esibiti da Marinetti a Petrolini, da Totò a Fabrizi senza dimenticare i miti femminili come la Bella Otero o Lina Cavalieri. Inaugurato nel 1898 come caffè concerto, ha ospitato serate futuriste e varietà, per poi diventare il café chantant che si contendeva con Napoli l’invenzione della celebre "mossa”, consacrata anche da Gabriele D’Annunzio. La decisione inspiegabile di liberarsi della proprietà dell’immobile con una base d’asta di 15 milioni di euro, con possibilità di inviare le buste con le offerte fino alle 13.30 del 30 gennaio, ha creato dolore, incredulità e panico nella produttrice Rosa Pol, nel regista Pierfrancesco Pingitore e nell’attore Oreste Lionello che ormai da anni lavorano nella sala, creando anche spettacoli per la televisione con il marchio del "Bagaglino”. La compagnia ha comunque un contratto di locazione con scadenza prevista nel 2009 ed è stata invitata già da giugno a rendere visitabile l’edificio per eventuali acquirenti come accade quando si decide la compravendita di un bene occupato. E’ sconosciuta la motivazione per cui la Banca d’Italia non abbia preferito disfarsi di altri suoi possessi infruttuosi come per esempio lo stabile limitrofo al teatro occupato in passato dalla Fideuram e attualmente abbandonato. «Reputo vergognoso che la Banca d’Italia venda un teatro con avviso d’asta come se fosse un locale dismesso - ha dichiarato Pingitore - Non è molto credibile che versi in cattive acque, altrimenti dovremmo tremare tutti noi italiani». Nel tentativo di convincere la proprietà a rinunciare al misterioso progetto, si auspica una dilazione temporale cercando anche di sollevare una giusta mobilitazione di politici e artisti. L’assessore alle Politiche culturali, Gianni Borgna e l’assessore alle Politiche del Patrimonio, Claudio Minelli hanno congiuntamente espresso il loro interessamento nei riguardi della vicenda, impegnandosi a prendere gli opportuni contatti e a sollecitare la Banca d’Italia alla tutela di questo prezioso spazio culturale. Hanno inoltre voluto assicurare che il Comune non permetterà mai che un teatro di così grande importanza possa avere destinazioni d’uso diverse da quelle teatrali. Anche l’assessore alla Cultura della Provincia, Vincenzo Vita ha fornito la sua completa disponibilità in tale prospettiva. T. D. M.
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rif: http://www.iltempo.it/approfondimenti/print.aspx?id=1064078



Bankitalia: Vende a Roma Il 'Salone Margherita'
Di (Peg/Gs/Adnkronos)

Roma, 26 ott. (Adnkronos) - A.A.A. Salone Margherita vendesi. Il mittente dell'annuncio apparso oggi sul 'Sole 24 Ore' e che riguarda il teatro romano vicino a Piazza di Spagna, sede di uno dei cabaret storici della capitale, il 'Bagaglino', e' la Banca d'Italia. L'istituto centrale e' dunque il proprietario che nell'avviso di vendita offre ''al miglior offerente'' il teatro di via Due Macelli ''nello stato di fatto e di diritto in cui si trova al prezzo base di 15.000.000,00 euro''.
rif: http://it.biz.yahoo.com/26102006/201/bankitalia-vende-roma-salone-margherita.html



SALONE MARGHERITA: BANKITALIA VENDE TEATRO, PREZZO BASE 15 MLN

(AGI) - Roma, 25 ott. - Cambia padrone il Salone Margherita, storico teatro romano che ha visto esibirsi sul suo palcoscenico tutti i principali protagonisti della rivista italiana, da Ettore Petrolini a Walter Chiari, da Aldo Fabrizi a Toto’ fino alle recenti esibizioni della compagnia del Bagaglino. A mettere in vendita quello che fu il primo cafe’ chantant nazionale e’ la Banca d’Italia. Base d’asta: 15 milioni di euro.
Le buste con le offerte, si legge nell’avviso pubblicato da via Nazionale, dovranno essere presentate entro le 13,30 del 30 gennaio 2007 e saranno aperte lo stesso giorno. Le proposte di acquisto dovranno essere irrevocabili per un periodo di 180 giorno. La cauzione, costituita da fideiussione bancaria, assicurativa o finanziaria, ammonta a 750 mila euro, pari al 5% del prezzo base. (AGI)
Mau
rif: http://www.economia-oggi.it/archives/00016177.html



*a parte le edizioni del Bagaglino, ovvio.

domenica, dicembre 24, 2006

San Paolo-Banca Intesa e Banca Rothschild, Prodi sull’attenti!

San Paolo-Banca Intesa e Banca Rothschild, Prodi sull’attenti!

DilloAdAlice.it n. 134 del 20/12/2006
http://www.dilloadalice.it/lettera.aspx?articolo=l134manuelnegri.xml

L'imminente maxi-fusione tra Banca Intesa e San Paolo Imi, salutata calorosamente dagli 'addetti ai lavori' del settore finanziario e accolta con plauso reverenziale dai massimi esponenti del governo di centrosinistra, Prodi in testa, è stata presentata quale logica conseguenza delle irrinunciabili esigenze dettate dagli indiscutibili processi di globalizzazione, ritenuti esiziali per l'intero sistema creditizio europeo.

Esigenze tanto care ai 'padroni planetari' quanto nefaste, alla luce del già annunciato riassetto aziendale, per il personale dei due istituti. L'operazione di fusione-accorpamento prevede infatti il licenziamento, loro li chiamano 'esuberi', di 15/20 mila persone, per lo più costrette al prepensionamento, con onerosi costi aggiuntivi per i già lacunosi conti dell'INPS.

L'annoso problema occupazionale che investirà 15/20 mila famiglie, maggiore e più nefasto aspetto, non deve però fare passare in sordina la preoccupante concentrazione di potere e gli oscuri intrighi di palazzo che ombreggiano su tutta l'operazione, a partire dai protagonisti principali, come i sodali di Romano Prodi, Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa che guiderà il nuovo gruppo, ed Enrico Salza, presidente di San Paolo Imi, che sarà a capo del nuovo Consiglio di gestione.

Alla loro corte verranno confermati Pietro Modiano, direttore generale di San Paolo Imi, nonché marito del Ministro per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini e il protagonista, unitamente al presidente di Unicredit Alessandro Profumo, delle primarie uliviste Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa. Senza però dimenticare Alfonso Iozzo, già amministratore delegato di San Paolo Imi, oggi scelto, guarda caso, dal Consiglio dei Ministri, come Presidente della potentissima Cassa Depositi e Prestiti, il cui riassetto è stato recentemente stilato e presentato al governo Prodi dalla Banca Rothschild. Un nome, una garanzia...non certo per i circa 20 mila senza più occupazione.

L'Iran usa l'euro e scattano le sanzioni

L'Iran usa l'euro e scattano le sanzioni
(di Sandro Pascucci)

La storia si ripete: chi tocca il signoraggio [del dollaro in questo caso] muore, in un modo o nell'altro. Risoluzione 1737 delle Nazioni Unite? per ora. A febbraio inizieranno a bombardare il paese. Gli USA e Israele attaccheranno un Paese Sovrano che vuole avere e usare ciò che loro [più i soliti imboscati inghilterra, francia, russia, blablabla] hanno e usano. I giornalisti_schiavisti (o giornalisti_pusher, spacciatori di fandonie e caporali di IGB©) tirano fuori i loro articoli sull'afghanistan, iraq e 100 altri paesi già in precedenza arbitrariamente distrutti e iniziano le consuete operazioni di find e replace. Sostituire la parola "iraq" con "iran" e salvare il file con nuovo nome: guerra_in_iran_0001.doc. Di sicuro era pronto un lavoretto simile anche per il venezuela ma gli è andata buca!

Ma che c'entra il dollaro con l'iran? TUTTO. Gli USA non possono permettersi che si scopra che razza di cartastraccia sia diventato il dollaro e non possono permettersi NESSUN concorrente alla loro valuta. La valuta EURO, pur essendo cartastraccia colorata da IGB© alla stessa stregua della valuta DOLLARO, è vietata nel mondo finanziario internazionale poiché metterebbe a nudo l'enorme DEFICIT americano e renderebbe il crollo degli USA IMMEDIATO. Si smaschererebbe infatti la truffa del signoraggio NEL MONDO. La notizia passata sottobanco dai giornalisti_pusher è quella che l'iran è passato ad usare l'EURO in TUTTE le sue attività economiche/finanziarie/commerciali con l'estero. Il pensiero ovviamente va ai pagamenti di PETROLIO ma non sono esclusi altri aspetti, più psicologici e destabilizzatori dell'EURO-PETROLIO. Ad esempio l'EURO potrebbe entrare nei bilanci statali e allora..



L'Iran dice addio al dollaro e converte tutto in euro

Il governo iraniano ha ordinato alla banca centrale di convertire in euro le attività denominate in dollari detenute all'estero e di rimpiazzare la divisa Usa con quella europea nelle transazioni con l'estero.

MILANO - Il governo iraniano ha ordinato alla banca centrale di convertire in euro le attività denominate in dollari detenute all'estero e di rimpiazzare la divisa Usa con quella europea nelle transazioni con l'estero e negli scambi internazionali.


Lo ha annunciato il portavoce del governo Gholam Hossein Elham. La decisione è stata adottata in risposta alle pressioni degli Stati Uniti sulle Nazioni Unite per adottare sanzioni contro l'Iran per il suo controverso programma nucleare. Elham ha aggiunto che anche il budget dell'Iran sarà calcolato in euro.


'Le risorse dall'estero e le entrate petrolifere saranno calcolate in euro e le riceveremo in euro per mettere fine alla dipendenza dal dollaro", precisa un portavoce del governo iraniano, secondo il quale "procederemo anche al cambio dei nostri averi all'estero, il che include sia le entrate delle esportazioni, sia le fonti di finanziamento internazionali".
(Repubblica.it 18 dicembre 2006)


Bankitalia alla Goldman Sachs e Soros Corporation?

CAMBIO DEI QUADRI IN BANKITALIA. FATTO FUORI IL NEOKEYNESIANO CIOCCA

Roma, 20 Dicembre 2006 – AgenParl – Non è finito sotto silenzio negli ambienti politici il fatto che le dimissioni di Pierluigi Ciocca da vice direttore generale della Banca d’Italia segnano il coronamento della svolta operata dal governatore Mario Draghi che sta trasformando la nostra banca centrale in una brutta copia di una banca d’affari privata come la Goldman Sachs. Ciocca è noto per il suo orientamento neokeynesiano e, anche se da posizioni di minoranza, ha sempre sottolineato l’importanza di privilegiare l’economia reale dei settori produttivi di fronte all’avanzata della finanza e della speculazione.

I due nuovi vicedirettori, Ignazio Visco e Giovanni Carosio, sono uomini di fiducia di Draghi, anche vicini alle posizioni di Padoa Schioppa, e parte della nidiata dei famosi “Ciampi’s boys”. Adesso la Banca d’Italia, che, e non scordiamocelo mai, è strutturata come una società per azioni privata, è lanciata sulla strada del liberismo economico con sempre meno regole e del monetarismo a la Milton Friedman della Scuola di Chicago che esporrà l’Italia alle mire speculative di banche e finanziarie internazionali. Per l’economia e per i cittadini ci saranno ricadute molto negative di austerità e di tagli.

Draghi aveva iniziato la sua “lunga marcia” quando il 2 giungo 1992, come direttore generale del ministero del Tesoro di Ciampi, guidò la pattuglia di dirigenti delle Partecipazioni Statali nell’incontro sul “Britannia”, il panfilo della regina Elisabetta d’Inghilterra, dove si perfezionò la svendita, a prezzi stracciati, dell’industria di stato italiana alle finanziarie della City di Londra.

Infatti, poche settimane dopo, all’inizio di settembre, l’attacco speculativo guidato da George Soros e co. portò ad una svalutazione della lira del 30%.

In seguito, per i suoi meriti guadagnati sul campo della grande finanza, Mario Draghi lasciò gli incarichi di stato per essere nominato vicedirettore della banca d’affari internazionale Goldman Sachs, di cui divenne nel periodo 2002-2005 responsabile per l’Europa. Sponsorizzato dal mondo bancario e finanziario della City e di Wall Street, e in un assordante silenzio di entrambe le coalizioni politiche, è stato portato a Via Nazionale, precedentemente liberata, con scandali e intrighi di corte, da un Antonio Fazio, forse troppo tradizionalista per essere amato dalla egemonica finanza d’assalto. In caso di una seria crisi finanziaria, la sua legge espone le banche italiane ad una fine come nel ’29.

rif. http://www.agenparl.com/news.asp?id=1869

mercoledì, dicembre 13, 2006

Debito pubblico, è record storico (ma ogni volta?) parte 6

Eccoci come sempre al nostro appuntamento con:
Debito pubblico, è record storico (ma ogni volta?) parte 6

ricordiamo la parte 5



da: http://www.repubblica.it/2006/12/sezioni/economia/conti-pubblici-33/debito-record/debito-record.html
Bankitalia, il debito pubblico sfonda i 1.600 miliardi di euro

ROMA - Il debito pubblico italiano sfonda per la prima volta il tetto dei 1.600 miliardi di euro e a fine settembre si attesta a 1.601,5 miliardi. E' quanto riporta il supplemento Finanza Pubblica al Bollettino Statistico della Banca d'Italia.

Il debito pubblico ha così conquistato un nuovo record assoluto, segnando nei primi nove mesi dell'anno un crescita di circa 90,6 miliardi, con un trend al rialzo del 6%. A fine dicembre, infatti, i conti avevano chiuso con un debito a quota 1.510,8 miliardi. Ai fini del Patto di Stabilità non è però il valore monetario del debito che incide nel rispetto dei parametri, ma solo il rapporto con il Pil che sarà disponibile solo quando saranno pronti i dati di dicembre, che solitamente registra un avanzo di cassa.

Con il livello raggiunto oggi è come se ciascuno dei 48 milioni di cittadini italiani - ma si tratta ovviamente di una astrazione statistica senza valore ai fini macro economici - avesse accumulato una quota di debito pubblico pari a 27.611 euro.

(12 dicembre 2006)



da: http://finanza.kataweb.it/scripts/cligipsw.dll?app=KWF&tpl=kwfinanza\dettaglio_news.tpl&del=20061212&fonte=RPB&codnews=58523

Bankitalia, il debito pubblico sfonda i 1.600 miliardi di euro

ROMA - Il debito pubblico italiano sfonda per la prima volta il tetto dei 1.600 miliardi di euro e a fine settembre si attesta a 1.601,5 miliardi. E' quanto riporta il supplemento Finanza Pubblica al Bollettino Statistico della Banca d' Italia.


12/12/2006 - 16:30


da: http://www.tgcom.mediaset.it/tgfin/articoli/articolo340019.shtml

Debito pubblico alle stelle
Bankitalia: oltre i 1.600 miliardi


Record dei record per il debito pubblico italiano. Per la prima volta nella storia è stato sforato il tetto dei 1.600 miliardi di euro. A fine settembre, infatti, il debito si è attestato a 1.601,483 miliardi di euro. Ben 67,016 miliardi di euro in più (pari al 4,36%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando era a quota 1.534,467 miliardi di euro. E' quanto riporta il supplemento Finanza Pubblica al Bollettino Statistico della Banca d'Italia.


I tecnici di Via Nazionale sottolineano che nei primi nove mesi dell'anno la crescita del debito è stata di circa 90,6 miliardi, con un trend al rialzo del 6%. A fine dicembre 2005, infatti, i conti avevano chiuso con un debito a quota 1.510,826 miliardi.

Con il livello raggiunto oggi è come se ciascuno dei 48 milioni di cittadini italiani - ma si tratta ovviamente di una astrazione statistica senza valore ai fini macro economici - avesse accumulato una quota di debito pubblico pari a 27.611 euro.

Ai fini del Patto di Stabilità non è però il valore monetario del debito che incide nel rispetto dei parametri. Per i calcoli di Bruxelles si prende il rapporto con il Pil che sarà disponibile solo quando saranno pronti i dati di dicembre. E nell'ultimo mese dell'anno, di solito, si registra un avanzo di cassa.

IN CRESCITA LE ENTRATE FISCALI
A registrare un trend fortemente al rialzo non è solo il debito pubblico, ma anche le entrate fiscali. Tra gennaio e ottobre nelle casse dello Stato sono arrivati 29 miliardi in più, con una crescita di gettito dell'11,5% rispetto allo stesso periodo del 2005. I, sottolineano da Bankitalia, dati confermano il buon andamento registrato dalle entrate fiscali nel 2006.


NIENTE DI NUOVO QUINDI! IL DEBITO CRESCE COME SEMPRE E SEMPRE PIU'! INARRESTABILE! PER CONFONDERE IL POPOLINO ACCOMPAGNANO LA TRAGICA NOTIZIA CON PARADOSSI COME QUESTO DELLE MAGGIORI ENTRATE MA "AKKA NISCIUNO E' FESSO!":

SE LE ENTRATE AUMENTA... COME MAI IL DEBITO NON DIMINUISCE?? MAH!

sabato, dicembre 09, 2006

MA LA STAMPA ITALIANA A CHE SERVE (oltre che ad incartare le uova o pulire i vetri?)

Cesare Geronzi, Roberto Colaninno e Divo Gronchi condannati..

MA LA STAMPA ITALIANA A CHE SERVE
(oltre che ad incartare le uova o pulire i vetri?)



da http://it.news.yahoo.com/08122006/58-56/geronzi-colaninno-gronchi-sospesi-cda-delle-banche.html

MILANO (Reuters) - La condanna di ieri a Brescia di Cesare Geronzi, Roberto Colaninno e Divo Gronchi - fra gli altri - comporta per i tre manager la sospensione immediata dalla carica di amministratore di società bancarie, mentre tutte le altre pene sono sospese e non verranno eseguite fino a che la sentenza non diventerà eventualmente definitiva.

La legge e il regolamento sui requisiti di onorabilità di amministratori di società bancarie e sgr prevedono infatti la sospensione immediata dalla carica anche a fronte di una condanna non definitiva . L'assemblea della società può però prendere atto della condanna e confermare comunque il consigliere.

Geronzi oltre a essere presidente di Capitalia siede nel cda Mediobanca, Colaninno è consigliere della banca romana e di quella milanese, mentre Divo Gronchi è amministratore delegato di Bpi, prossima alle nozze con Popolare di Verona e Novara.

Capitalia ha già fatto sapere in una nota che il cda dell'11 dicembre esaminerà la sentenza "in particolare per le deliberazioni relative alla convocazione dell'assemblea" che dovrebbe tenersi il 18 gennaio, secondo una fonte finanziaria.

Non è stato possibile per ora avere un commento da Bpi e Mediobanca, che quest'anno, il 29 maggio, ha già tenuto un'assemblea per confermare Geronzi dopo un provvedimento di interdizione emanato dalla Procura di Parma nell'ambito dell'inchiesta Parmalat.

La prima sezione penale del Tribunale di Brescia, secondo una fonte legale, ha condannato stanotte Geronzi e Gronchi entrambi a un anno e otto mesi per bancarotta semplice, il presidente e Ad di Piaggio Roberto Colaninno a quattro anni e un mese per bancarotta preferenziale al termine del processo di primo grado sul fallimento del gruppo edilizio Italcase-Bagaglino.

Il Tribunale ha inoltre condannato fra gli altri Mario Bertelli - il patron dell'impero dell'edilizia turistica di lusso crollato a fine anni 90 per un buco di 1.200 miliardi di lire - a 13 anni di reclusione, gli ex membri del cda di Banca Agricola Mantovana Steno Marcegaglia ed Ettore Lonati a quattro anni e un mese di carcere e l'ex vicepresidente di Unipol Ivano Sacchetti a un anno e otto mesi.

Per quel che riguarda le pene accessorie, il Tribunale ha disposto per Geronzi e Sacchetti l'incapacità a ricoprire uffici direttivi per due anni, mentre Colaninno, Lonati e Marcegaglia sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Le pene accessorie, come quelle principali, non diventano esecutive sino a quando la sentenza non sarà passata in giudicato, dopo gli eventuali gradi di appello.

Geronzi, Colaninno e Gronchi sono fra i 62 imputati - fra amministratori, soci e consiglieri delle società della holding edilizia, e una schiera di banchieri - per i quali la procura aveva chiesto un totale complessivo di oltre 174 anni.

Secondo la procura, le banche avrebbero cercato di mettersi in una posizione di vantaggio in vista del fallimento. In particolare la procura sostiene che i banchieri, pur di fronte al crack inevitabile, finanziarono il piano di salvataggio del gruppo attraverso garanzie ipotecarie per trasformare i crediti chirografari in privilegiati, danneggiando così tutti gli altri creditori.

Tutti i banchieri hanno sempre respinto gli addebiti.



da: http://it.biz.yahoo.com/08122006/2/crac-italcase-grado-condanna-i-big-fi.html

(ANSA) - BRESCIA, 8 DIC - Con la condanna di alcuni dei nomi più noti della finanza italiana, da Roberto Colaninno, Steno Marcegaglia e Ettore Lonati (4 anni e 1 mese ciascuno) a Cesare Geronzi, Divo Gronchi e Ivano Sacchetti (per tutti e tre 1 anno e 8 mesi) si è concluso il processo di primo grado per il cosiddetto crac Italcase.

La sentenza - che ha condannato Mario Bertelli, patron di Italcase alla pena più pesante, 13 anni di reclusione - è stata pronunciata a notte inoltrata dopo oltre due anni di udienze e dopo una settimana di camera di consiglio: una mole di lavoro giustificata dalla presenza di 62 imputati. Una sentenza complessa, tanto che per la sola lettura del dispositivo sono stati necessari 40 minuti.
Colaninno, Marcegaglia, Lonati e altri sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Beneficeranno però dell' indulto, con il condono di tre anni di pena. Gronchi, Sacchetti e Geronzi, fra i personaggi di maggior spicco, sono stati dichiarati inabilitati all'impresa commerciale e agli uffici direttivi per due anni. Ma il Tribunale ha concesso loro la sospensione condizionale sia della pena principale che di quella accessoria.
"Il gruppo imprenditoriale ex Italcase Bertelli poi Country Village ha costituito, per anni, una delle primarie realtà imprenditoriali sulla scena bresciana". Iniziava così la ricostruzione che della vicenda passata alle cronache come 'crac Italcase', e che produsse una voragine finanziaria da più di 1000 miliardi di vecchie lire, aveva fatto l'accusa, nel processo iniziato il 22 novembre del 2004. In questi due anni di udienze tenutesi, soprattutto, in considerazione del numero degli imputati, nell'aula bunker di via Collebeato a Brescia, si è parlato di villaggi in Sardegna, del ruolo delle banche nella vicenda, particolarmente complessa. Ma sin dall'inizio della propria ricostruzione di quanto sarebbe accaduto, poco dopo la descrizione dell'importanza del gruppo, "organizzato in 19 società" il Pm Silvia Bonardi, che nelle indagini e nel processo ha rappresentato l'accusa, era passata a indicare il 1998, come l'anno quando le difficoltà in cui il gruppo si " dibatteva da anni", si "evidenziarono".
E' poi negli anni successivi che viene " congegnato e posto in essere" quello che nella ricostruzione del pm - sostanzialmente accolta dal Tribunale - è "un disegno di spoliazione dalla massa fallimentare" delle "perle immobiliari del gruppo". Nel 2000, però a seguito di una verifica fiscale la Guardia di Finanza interrompe " tale disegno". E dalle indagini emergono "numerosi atti distrattivi" da parte "degli amministratori, di diritto e di fatto", finalizzati "a salvare elementi patrimoniali delle società delle società destinate al fallimento, trasferendoli ad altre società o privati", obbligando di fatto gli organi delle diverse procedure fallimentari ad una continua "rincorsa" dei beni destinati alla garanzia patrimoniale dei creditori".
Da allora l'inchiesta, il rinvio a giudizio, il processo e oggi la sentenza.(ANSA).




cercando "GERONZI" e "REPUBBLICA" si trova quest'altra storia DIMENTICATA

da: http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/economia/cirio/banchiere1/banchiere1.html

Sullo sfondo del caso Geronzi, anche gli attacchi del ministro del Tesoro al governatore Fazio
Le ambizioni del superbanchiere impigliato nella sua ragnatela
Con Capitalia è riuscito a trasferire a Roma l'eredità della Mediobanca di Cuccia
di MASSIMO GIANNINI

NEL Paese dei garantisti a corrente alternata, può succedere che nella maggioranza qualcuno festeggi una sentenza di condanna a 5 anni di galera per Cesare Previti come se fosse un'assoluzione, e pochi giorni dopo saluti un semplice avviso di garanzia per Cesare Geronzi come una pronuncia definitiva e inappellabile. Ma a parte queste inattuali "sottigliezze" da trapassati cultori di un'etica del diritto, la notizia che il presidente di Capitalia è stato iscritto nel registro degli indagati per il crac della Cirio fa in effetti parecchio rumore.

Tramontata l'era degli Agnelli e i Pirelli, spenta la stella dei Cuccia e dei Siglienti, il "Cesarone" della superbanca romana, con quella perfetta chioma d'argento pareva davvero il simbolo del "nuovo ordine" del capitalismo italiano. Algido, autoreferenziale, e intoccabile. Quel suo studio affrescato, al quarto piano del palazzo a due passi da Piazza Venezia, era diventato la cabina di regia di tutte le più importanti operazioni di questi ultimi anni. La sua nuova creatura, Capitalia, aveva assunto l'eredità della vecchia Mediobanca governata dal mitico "don Enrico". Il moderno salotto buono della finanza, trasferito dalle poltroncine stile impero di via Filodrammatici a Milano ai divani di pelle rossa di Via del Corso a Roma.

Dopo l'"incidente" sul caso Cirio, ci si chiede se questo "giocattolo" finirà per rompersi. Chi gli ha parlato, racconta di un Geronzi seccato, ma tranquillo. L'uomo è navigato. Roma è una piazza difficile, il Centro-Sud una frontiera rischiosa. Miscela di affarismo politico, velleitarismo finanziario e avventurismo imprenditoriale. Lo sa bene, "Cesarone". Creare il suo gigante bancario gli è costato scommesse e compromessi. Sempre un po' "border line". Tentate convergenze con l'alta finanza lombardo-piemontese. Ma anche relazioni pericolose con il generone romano e sudista: da Ciarrapico e Bocchi a Casillo e Semenzato. Dal disastro Federconsorzi all'affare Cirio. C'è stata una lunga fase in cui l'Avvocato, con sabaudo distacco, diceva: "Quell'istituto si dà un gran da fare: secondo me lo dovrebbero chiamare "Banca di traffico centro-meridionale"...". L'ambizione di Geronzi è sempre stata quella di trasformarla, la sua banca. A costo di seminare nel fango. Alla fine degli anni '80, con l'indulgenza della Dc, del Vaticano e del Psi, con la sua piccola Cassa di Risparmio di Roma assorbì il Banco di Santo Spirito e il Banco Roma. A metà degli anni '90 sfilò allo scalcagnato conte Auletta la disastrata Bna. A metà del 2002 ha "ingoiato" Bipop e Banco di Sicilia, piene di sofferenze e buchi di bilancio, e ha dato vita finalmente al colosso bancario che aveva sempre sognato.


Con Capitalia, Geronzi è riuscito a trasferire Piazzetta Cuccia a Via del Corso. È riuscito a tessere una trama di rapporti personali e di incroci azionari blindati con l'Ambroveneto e l'Unicredit. Paradossalmente, proprio grazie ai buoni uffici di Gianni Agnelli, che nel frattempo aveva imparato a stimarlo e che in una delle ultime cene dell'Avvocato a Milano aveva detto a Bazoli: "Lei, Profumo e Geronzi dovreste collaborare, per il bene dell'Azienda Italia...". Così è stato. Nel vuoto pauroso di classe dirigente e nel declino inesorabile dell'industria nazionale, i tre hanno gestito la drammatica crisi della Fiat, governato la ristrutturazione di Telecom, pilotato la transizione di Mediobanca. Nel bene e nel male, hanno assicurato uno sbocco non traumatico al "Sistema-Paese", altrimenti condannato alla colonizzazione o alla scomparsa.

Oggi Geronzi è un super-banchiere. Nel patto di sindacato di Capitalia ha riunito Moratti e Tronchetti, Colaninno e Ligresti. È vicepresidente anziano di Mediobanca, ha partecipazioni strategiche ovunque. Si è inventato una specie di "Capitalia football club". È azionista di riferimento della Lazio. Ha in mano la Roma di Sensi. Presta soldi all'Inter di Moratti. Tiene in pegno il 99,5% delle azioni del Perugia di Gaucci. Si serve della "leva" finanziaria del Mediocredito centrale, presieduta da Franco Carraro che è anche presidente della Figc. Ha una figlia, Benedetta, che dello stesso Mediocredito centrale è responsabile marketing. Ha un'altra figlia, Chiara, che è giornalista del Tg5 e che ha fondato la Gea World, insieme ai figli di Moggi, Tanzi e Cragnotti.

Era fatale che, in questa fitta e intricatissima ragnatela, Geronzi rimanesse impigliato ai trucchi di quello che il solito Cuccia definì "una fattucchiera", cioè proprio Sergio Cragnotti? Lo dirà l'inchiesta. Per adesso, resta il "rumore" dell'avviso di garanzia che gli è piovuto in testa. Per il sicuro impatto mediatico con il quale è stato "gestito" dai magistrati della Procura di Roma: annuncio a mercati aperti, con perquisizioni nelle abitazioni private del banchiere. Per la sorprendente rilevanza delle ipotesi di reato formulate: bancarotta "preferenziale" e truffa. Ma poi, soprattutto, per le implicazioni politiche che la vicenda si porta dietro. Parte dalla Cirio, investe Capitalia, lambisce la Banca d'Italia: l'istituzione che, suo malgrado, sfugge al controllo del governo. Detta in parole più semplici: nasce da Cragnotti, si estende a Geronzi, porta ad Antonio Fazio. Il personaggio che, suo malgrado, è sospettato dal centrodestra di nutrire segrete ambizioni per il "dopo-Berlusconi".

Di questi risvolti, non possono e non devono tener conto né i 35 mila risparmiatori gabbati dalle obbligazioni della Cirio, né tanto meno i procuratori della Repubblica. La magistratura merita un rispetto assoluto. Sarebbe inaccettabile anche il solo sospetto che qualche toga romana si sia mossa a comando, su pressione di qualche potentato "esterno". Un caso Baffi-Sarcinelli c'è già stato, a macchiare le pagine della storia italiana. Ma quello che colpisce è la disinvolta rapidità con la quale i politici, da Cossiga a La Malfa, cavalchino l'avviso di garanzia al presidente di una banca di Roma, per mettere in discussione il governatore della Banca d'Italia. Quanta fretta da parte di chi, in altri contesti, ha giustamente invocato la tutela costituzionale dell'articolo 27: l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva, cioè dopo i tre gradi di giudizio. Nel caso Cirio-Capitalia, il giudizio non è neanche cominciato. E non è nemmeno detto che cominci.

Geronzi e Fazio sono amici. Ma oltre all'amicizia, condividono un progetto: "Tutti e due hanno sempre avuto a cuore la salvaguardia di un solido polo creditizio del Centro-Sud", dice un grande banchiere del Nord. Ma la difesa di quel progetto, evidentemente, disturba la Casa delle Libertà. Perché avviene al di fuori della sua "giurisdizione", come ha dimostrato l'operazione Generali. E perché, come dice Cossiga, di qui alle elezioni europee può "nascondere" soluzioni politiche imprevedibili di fronte alla crisi di leadership del Cavaliere. Così si spiegano i velenosi attacchi del ministro del Tesoro contro la Banca d'Italia. A metà ottobre Tremonti ha tentato un "processo sommario" e indebito a Fazio, convocando un Cicr per contestare a Via Nazionale l'omessa vigilanza sui bond di Cragnotti. Fazio ha respinto l'assalto. Già allora ha chiarito che il controllo di merito sulla solvibilità dei soggetti non finanziari compete alla Consob. Alla Giornata mondiale del risparmio, il 31 ottobre, ha ricordato che in Italia c'è stato un solo caso di default, sui 32 che si sono verificati in Europa nel 2002. Ha spiegato che l'insolvenza Cirio rappresenta meno dello 0,05% delle attività finanziarie delle famiglie. Ha invitato i giudici e le singole banche a svolgere serenamente i propri doveri d'indagine, sanzionando le irregolarità ma evitando gli allarmismi.

La battaglia è appena cominciata. In queste ore turbolente, il governatore tiene in bella mostra, sulla sua scrivania, un "documento" prezioso. È il testo che Carlo Azeglio Ciampi ha letto una settimana fa, alla festa dei dipendenti da 30 anni al servizio di Palazzo Koch: "La Banca d'Italia rappresenta un modello di servizio istituzionale - ha detto il presidente della Repubblica - e se non è mai stata coinvolta in vicende "anomale", né toccata da fatti che potessero costituire disdoro per l'Istituto, il motivo sta proprio in questo modo d'essere della banca, il modo d'essere che vi ho trovato e che sono certo continui tuttora. Ha saputo coniugare professionalità delle prestazioni, efficienza della gestione, attenzione alle compatibilità finanziarie, trasparenza della propria azione...". Per Fazio, in questo clima rovente, la "copertura istituzionale" del Capo dello Stato vale quanto un'assicurazione sulla vita.
(6 dicembre 2003)


ossia 3 anni fa il signore era GIA' invischiato in fatti del genere!
e ancora:


da: http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/economia/cirio/geron/geron.html

Amministratori e sindaci in carica nel '96 accusati di false comunicazioni alla Banca d'Italia. Il processo a marzo
Geronzi rinviato a giudizio con gli ex vertici Banca di Roma
Il titolo Capitalia scivola a Piazza Affari

ROMA - Nuovo infortunio giudiziario per Cesare Geronzi e per i vertici della Banca di Roma in carica nel 1996. Un gruppo di consiglieri di amministrazione e sindaci dell'istituto di credito romano, tra i quali, appunto, Geronzi, sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di false comunicazioni alla Banca d'Italia, dal giudice dell'udienza preliminare Giorgio Maria Rossi. La questione, è ovvio, non ha nulla a che vedere con la vicenda Cirio che in questi giorni pesa sul presidente dei Capitalia.

Per gli stessi indagati, una quindicina, è stata dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio in relazione al documento contabile del 1996. Tra le persone rinviate a giudizio figura anche il nome di Antonio Nottola, all'epoca direttore generale della Banca di Roma. Il processo è stato fissato per il 23 marzo prossimo davanti al giudice monocratico. Secondo il collegio di difesa dei vertici della Banca di Roma si tratta di un'accusa di "limitato rilievo" e comunque "non appare minimamente fondata".

Sulla notizia del rinvio a giudizio, Capitalia scivola in Borsa: il titolo, che questa mattina aveva aperto in rialzo, dell'1,81%, a 2,645 euro, e che alle 9,17 toccava i 2,67 euro, dopo la notizia ha imboccato la via del ribasso, fino a toccare un minimo di 2,42 euro, in calo del 5,70%.

La vicenda culminata con la decisione del rinvio a giudizio fa riferimento all'inchiesta avviata nel 1997 sulla base di un esposto presentato da Maurizio Boccacci, già leader del disciolto Movimento Politico Occidentale nonché ex dipendente e sindacalista della Banca di Roma, nel quale si faceva riferimento a "una cattiva gestione delle risorse" da parte della Banca di Roma.


Al centro delle indagini presunte anomalie con particolare riferimento alla classificazione di crediti per alcune migliaia di miliardi di lire indicati sotto la voce delle "sofferenze" (quindi di difficile recupero) invece che sotto quelle dei "crediti vivi" o "partite incagliate" (ossia con prospettive di rientro). Classificazioni, secondo i pubblici ministeri Perla Lori e Gustavo De Marinis, titolari dell'inchiesta giudiziaria, che avrebbero avuto il fine di dimostrare il buon andamento dell' istituto di credito.

I pm avevano contestato per questo episodio il reato di falso in bilancio (dichiarato prescritto dal gip) e quello di false comunicazioni all'istituto centrale di vigilanza (per il quale è stato dichiarato il rinvio a giudizio). Nell'ambito della stessa inchiesta era stato approfondito un altro aspetto contenuto nella denuncia di Boccacci: i presunti finanziamenti illeciti che sarebbero stati erogati dalla Banca di Roma ad alcuni partiti. Gli accertamenti si conclusero con un'archiviazione delle posizioni degli indagati da parte dei pm Lori e De Marinis, quest'ultimo uno dei magistrati che indaga sul dissesto della Cirio che vede Geronzi, attuale presidente di Capitalia, sotto inchiesta per concorso in bancarotta preferenziale e truffa.
(12 dicembre 2003)



che altro dire?! attendiamo il 2009 per un'altra lieta novella o li mettiamo sotto chiave per sempre ORA?!?