giovedì, maggio 26, 2005

Chi critica l’Unione europea è blasfemo?

da ItalianiLiberi, 6 Novembre 2000

Un incredibile processo alla Corte europea di Giustizia

Chi critica l’Unione europea è blasfemo?
di Helen Szamuely

Chi critica le istituzioni europee va trattato alla stregua di un blasfemo e privato pertanto del diritto di parola?

La questione è sorta in un processo in discussione davanti alla Corte europea di giustizia. Bernard Connolly, ex-funzionario della Commissione e autore di "Il cuore marcio dell’Europa", un libro molto critico nei confronti dell’Ue, era ricorso in appello contro una sentenza del tribunale di prima istanza, che aveva convalidato una sanzione della Commissione europea nei suoi confronti, in quanto reo di aver scritto questo libro-denuncia. Tuttavia, i dipendenti della Commissione non firmano impegni di segretezza e, in ogni modo, ciò che la Commissione e la Corte trovavano riprovevole erano spesso le opinioni di Connolly rispetto a quello che succedeva e continua a succedere nell’Ue. Nel suo appello Connolly ha rilevato che la Corte europea dei Diritti Umani aveva sempre sostenuto il diritto dei singoli a criticare le istituzioni, ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione sui diritti umani. Egli si è appellato a una causa discussa nel 1996, "Wingrove contro il Regno Unito", in cui il governo britannico si era rifiutato di autorizzare un video gravemente blasfemo. All’epoca, la Corte europea dei diritti umani aveva chiarito che in questo caso, molto insolito e particolare, il governo britannico aveva agito bene: in altre parole, la blasfemia grave e offensiva non era coperta dalla libertà di parola. Tuttavia, nel caso di Connolly, il Procuratore generale, Dámaso Ruiz-Jarabo Colamer, ha ribaltato l’argomentazione della sua requisitoria. Ha argomentato cioè che il precedente della blasfemia doveva applicarsi anche alla critica diretta contro le istituzioni dell’UE. Quando il Daily Telegraph ha scritto di questo nuovo sviluppo, la Corte Europea di Giustizia ha protestato e ha preteso le scuse del direttore. A quel punto gli altri giornalisti hanno cercato di scoprire cosa stava succedendo, ma sono stati deliberatamente fuorviati. I funzionari della Corte infatti li hanno indirizzati verso un’altra causa (C-273/99P), in cui era sempre coinvolto Bernard Connolly, spiegando che non c’entrava niente la blasfemia. Il caso giusto (C-274/99P) è stato nascosto, per due settimane non è stato messo sul sito della Corte europea di giustizia. Alla fine è apparso sul sito, ma solo in francese e in spagnolo.

Lunedì prossimo la Camera dei Lords chiederà al governo britannico se ha intenzione di sostenere questa interpretazione e se solleveranno il caso alla Conferenza di Nizza.

Una delle riforme che potranno essere discusse a Nizza sarà la creazione del posto di Pubblico Ministero Europeo addetto ai "crimini contro la Comunità". Ufficialmente, questi saranno solo crimini finanziari come la frode o l’appropriazione indebita. (Cominceranno con la Commissione?). Tuttavia, alla luce dell’opinione espressa dal Procuratore Generale, ci si comincia a domandare cos’altro potrà rientrare sotto la giurisdizione del Pubblico Ministero Europeo.

(Da EUobserver del 24/11/2000, Written by Helen Szamuely Edited by Lisbeth Kirk)

L' Italia può uscire dall'Euro?

da WallStreetItalia

L' ITALIA PUO' USCIRE DALL' EURO?
di Il Riformista per WSI

Ecco lo studio di Aig che agita i mercati. Lo scenario, un po' esagerato, evoca l'Argentina. Per poi aggiungere che l'Italia non è a quel livello. Non ancora. Lo spread dei tassi sul debito italiano rispetto al bund ha tenuto. Pero'...
26 Maggio 2005 6:36 ROMA

Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – E se l'Italia uscisse dall'euro? La domanda, che sarebbe puramente di scuola, è diventata un'insinuazione, anzi di più, una sorta di previsione programmatica. Viene dalla banca di un grande gruppo assicurativo americano, la Banque AIG, che ha un ufficio studi il cui capo è Bernard Connolly, ex funzionario inglese dell'Unione europea, cacciato anni fa che ha accentuato il suo euroscetticismo. È autore di un libro che ha avuto un certo successo nei paesi anglosassoni: The Rotten Heart of Europe, il cuore marcio dell'Europa, che racconta con cattiveria, ma con dovizia di particolari e acutezza analitica il complicato processo che ha portato alla moneta unica.

Ora, nel suo rapporto, Connolly spiega che l'Italia si trova, tecnicamente nella stessa situazione del '92, non può reggere un euro così forte. Per recuperare un po' di competitività, dovrebbe sperare in una svalutazione del 20% della moneta unica, insomma, il ritorno alla sostanziale parità con il dollaro. Ipotesi del tutto improbabile. Quindi? Quindi restare nella moneta unica sarà sempre più costoso e penoso, anche politicamente.

Il rapporto prevede che Berlusconi cercherà di cavalcare, nella prossima campagna elettorale, i guai dell'euro, ma non potrà arrivare al punto di chiedere l'uscita dell'Italia perché l'ipotesi non trova consenso nell'opinione pubblica italiana, anche se verrebbe vista come una sorta di liberazione dalla Germania e dal nocciolo duro dell'Eurolandia costretti a un take-over dell'immenso debito italiano che secondo il rapporto, è destinato a crescere ancora.

Lo studio ha avuto una certa eco a Londra. Ne ha pubblicato le conclusioni il Daily Telegraph (il principale quotidiano britannico da sempre euroscettico). Ma lo ha rilanciato Martin Wolf (che euroscettico non è) sul Financial Times di ieri. E, visto che l'FT muove i mercati, anche Connolly ha trovato una sua credibilità. In Italia, è toccato a Roberto Calderoli tuonare ancora contro l'euro e predicare la moneta debole: «Una svalutazione della lira ci avrebbe salvato», ha detto dando fiato al gutfeeling padano (ma anche di molti piccoli imprenditori del nordest). Era più che una battuta e lo ha capito anche Domenico Siniscalco, attaccato personalmente dalla Lega e da Calderoli, con toni irridenti: «Non ci servono tecnici, ma ministri politici o in grado di diventarlo», ha tuonato.

Il ministro dell'Economia sta passando giornate terribili. L'Ocse prima, ieri persino l'Istat, hanno bocciato la politica economica. Ma soprattutto Siniscalco è rimasto personalmente amareggiato dalla levata di scudi degli economisti de lavoce.info, i «Giavazzi boys», come vengono chiamati. Da sempre amici o vicini al ministro, si sono messi tutti insieme a chiederne addirittura le dimissioni. Così, ieri Siniscalco ha risposto loro con un comunicato, che è anche una replica alla Lega. «Il ministro dell'Economia - scrive - tecnico o politico, non è un eremita che sta seduto in via XX Settembre... partecipa a un dibattito continuo nel governo e in parlamento, ove si compiono scelte democratiche e non tecnocratiche, spesso combattute e frutto di ampio compromesso».

Il ministro difende il suo operato e sostiene che oggi «il paese si trova a fronteggiare una brusca accelerazione di mali antichi... Per affrontare tali questioni servono senz'altro misure puntuali. Ma occorre soprattutto una politica economica condivisa... Una direzione che discuto con i miei colleghi ministri, con la commissione europea, con le agenzie di rating e gli investitori». E conclude Siniscalco: «Sinceramente, con i miei colleghi economisti vorrei discutere di questa politica economica. Fatta di decisioni e responsabilità». Una replica netta e piena di dignità.

Ma cosa farebbe Siniscalco se davvero nei prossimi mesi tutto il fuoco della polemica e della propaganda politica venisse concentrato contro l'euro? E se montasse in qualche modo anche all'interno del governo (la Lega è come sempre la punta di lancia, e in genere quella di Calderoli è sempre una voce dal sen fuggita)? Potrebbe reggere, lui che nell'euro (pur con tutte le contraddizioni) crede? E questo tam tam, che non è solo il complotto della «perfida Albione», ma rispecchia gli interrogativi (e le speculazioni) che circolano nei mercati, non rischia di danneggiare, alla fine, proprio il rating dell'Italia? Connolly in modo esagerato, evoca l'Argentina. Per poi aggiungere che l'Italia non è a quel livello. Ancora. Fino a questo momento lo spread dei tassi sul debito italiano rispetto al bund, ha tenuto. Ma il rapporto di AIG prevede un balzo nei prossimi anni, rebus sic stantibus. Ancor più delle critiche degli amici, è proprio questo che mette Siniscalco sui carboni ardenti.

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siam 3 piccoli banchierin, siamo 3....

da excite

ENRON: GB, AUTORIZZA ESTRADIZIONE IN USA 3 BANCHIERI DI RBS
(ANSA) - NEW YORK, 24 MAG - Il Governo britannico ha dato il via libera alla richiesta di estradizione negli Usa di tre banchieri della Royal Bank of Scotland (Rbs), coinvolti nel crac della Enron, il gruppo energetico texano al centro di uno dei più gravi scandali finanziari statunitensi degli ultimi anni. L'accusa nei confronti di David Bermingham, Gary Mulgrew e Giles Darby è quella di aver portato a termine una frode da 7,3 milioni di dollari ai danni della Greenwich NatWest, controllata della Royal Bank of Scotland, grazie alla contabilità in nero della Enron. I tre banchieri si opponevano alla richiesta chiedendo di poter essere giudicati nel Regno Unito, ma alla fine il ministero degli Interni britannico ha accettato le richieste delle autorità statunitensi. (ANSA).

AIG, un nome, un Assicurazione

da excite

USA: AIG, PRESTO CAUSA CIVILE SU IRREGOLARITA' BILANCIO
(ANSA) - NEW YORK, 26 MAG - Svolta vicina nel dissesto della Aig, la prima compagnia assicurativa al mondo: le autorità dello Stato di New York avrebbero pressoché finito lo schema di causa civile contro la compagnia, accusata di aver in modo improprio compilato i risultati finanziari, traendo in inganno gli organi di vigilanza e gli investitori. Il corposo documento, preparato dall'ufficio del procuratore generale di New York, Eliot Spitzer, e dal Dipartimento delle assicurazioni sempre di New York, dovrebbe essere depositato già in settimana. Allo stesso tempo, sarebbe sempre più critica la posizione dell'ex presidente e ad, Maurice 'Hank' Greenberg, considerato uno degli ispiratori delle manovre che permettevano alla società di segnare performance di bilancio (dal 2000 in poi) migliori di quelle effettivamente conseguite. Oltre a possibili azioni di rivalsa da parte della Aig, nei confronti Greenberg potrebbero anche partire accuse formali di natura penale. (ANSA).

giovedì, maggio 19, 2005

Appello ai Francesi: votate NO alla ratifica della Costituzione Europea

Appello per l’eliminazione dei debiti – prima parte
Dal 1971 le monete non sono più garantite, né sostanzialmente, né formalmente, dalle fantomatiche riserve auree; esse sono garantite dalle attività produttive dei rispettivi popoli e quindi degli Stati che li rappresentano; le monete sono quindi “di proprietà” degli Stati che le garantiscono. Le Costituzioni nazionali sanciscono più o meno esplicitamente questo incontrovertibile principio.
Le banche centrali di emissione nazionali sono società private, variamente camuffate da società pubbliche; esse, con la complicità dei politicanti, si sono appropriate del valore delle monete emesse, aggirando le Costituzioni nazionali ed indebitando subdolamente Stati, aziende e cittadini.
Con l’entrata in vigore del trattato di Maastricht la BCE, banca privata somma delle banche centrali nazionali private, ha assunto la piena proprietà della moneta al momento dell’emissione, in violazione delle varie Costituzioni nazionali.
La costituzione europea non costituisce altro che il tentativo della BCE di eliminare gli ostacoli che le Costituzioni nazionali frappongono al raggiungimento del pieno potere monetario, senza garanzie, senza responsabilità, senza controllo, soffocando sempre più gli Europei nei debiti.
I Popoli europei non conoscono questi semplici concetti perché il sistema bancario, attraverso i politicanti, i media, le università e le multinazionali, glieli ha sottratti. È per questo motivo che il Popolo spagnolo ha ratificato la costituzione europea. Il 29 maggio 2005 i Francesi voteranno per la sua ratifica. Se voteranno SI perderanno formalmente, oltre che sostanzialmente, il potere monetario ed il conforto della Loro Costituzione nazionale.
Invitiamo pertanto i Cittadini francesi a recarsi alle urne e VOTARE NO alla ratifica della costituzione europea, per Loro stessi, per i Loro figli, per tutti i popoli europei.
La seconda parte dell’appello sarà redatta in funzione dell’esito della consultazione francese.

Appel pour l'élimination des dettes - partie premier
Depuis 1971 les monnaies ne sont plus garanties, ni substantiellement, ni formellement, des réserves d'ores fantôme; elles sont garantis par les activités productives des peuples respectifs et ensuite des État qui les représentent; les monnaies sont donc "de propriété" des État qui les garantissent. Les Constitutions nationales sanctionnent ce début incontestable plus ou moins explicitement.
Les banques centrales d'émission sont sociétés privées, différemment camouflées par sociétés publiques; elles, avec la complicité des politiciens, elles se sont appropriées de la valeur des monnaies émises, en tournant les Constitutions nationales et en endettant sournoisement État, industries et citoyens.
Avec l'entrée en vigueur du traité de Maastricht le BCE, banque privée somme des banques centrales nationales privées a assumé la crue propriété de la monnaie au moment de l'émission, en violation des différentes Constitutions nationales.
La constitution européenne ne constitue pas autre que la tentative du BCE d'éliminer les obstacles qui les Constitutions nationales interposent à la réalisation du pouvoir monétaire plein, sans garanties, sans responsabilité, sans contrôle, en étouffant de plus en plus les Européens dans les dettes.
Les Peuples européens ne connaissent pas ces simple idées parce que le système bancaire, à travers les politiciens, les médias, les universités et les multinational, il les lui a soustraits. Il est pour ce motif que le Peuple espagnol a ratifié la constitution européenne. Le 29 mai 2005 les Français voteront pour sa ratification. Si ils votent OUI se perdront formellement, au-delà que substantiellement, le pouvoir monétaire et le réconfort de Leur Constitution nationale.
Nous invitons donc les Français Citadin à se rendre aux urnes et VOTER NON à la ratification de la constitution européenne, pour Eux mêmes, pour Leurs fils, pour tous les peuples européens.
La second partie de l'appel sera rédigée après le résultat de la consultation française.

Signoraggio: Il Canada si sveglia e ci prova!

Aprile 22, 2005

Prestiti E Finanziamenti: Come Fanno Le Banche A Prestare Soldi Che Non Hanno

Quando andate in banca per un prestito, dopo che hanno accettato la vostra richiesta ed addebitato la cifra sul vostro conto, vi siete mai chiesti da dove vengano realmente questi soldi? Sapete a chi appartiene il contante che è stato trasferito sul vostro conto?

Se un'azione legale collettiva recentemente presentata in Canada vincerà, la risposta a questo quesito potrebbe essere piuttosto semplice: i soldi non arrivano da nessuna parte, perché non sono mai esistiti. Sono stati creati dal nulla, semplicemente inserendo alcuni dati sul vostro conto corrente, tramite il sistema computerizzato della banca. Non c'è stata nessuna operazione di borsa, nessuna risorsa derivante da investimenti, né contante utilizzato.

Quindi una questione piuttosto fastidiosa potrebbe cominciare a tenere svegli la notte i capi delle banche mondiali, per ottenere un cambiamento. Se è vero che, come sostenuto dall'azione legale, queste transazioni derivano dalla contraffazione o dal riciclaggio di denaro (in quanto i soldi trasferiti nei conti dei clienti che richiedono prestiti non possono essere rintracciati, né giustificati), quando sarà il momento, per milioni di debitori Canadesi, di ripagare il prestito o gli interessi - loro, almeno in teoria, non dovranno - dal momento che il contratto originale per il prestito sarebbe ritenuto illegale, o nullo, od annullabile.

L'avvocato John Ruiz Dempsey, specializzato in criminologia e dibattito forense, ha intentato un'azione legale collettiva per conto dei Cittadini del Canada asserendo che le istituzioni finanziarie sono coinvolte nella creazione illegale di denaro.

L'accusa, presentata venerdì 15 Aprile 2005 presso la Corte Suprema dello stato di British Columbia, a New Westminster, afferma che tutte le istituzioni finanziarie che erogano prestiti, sono coinvolte in uno schema intenzionale di frode dei debitori, prestando denaro inesistente, creato illegalmente "dal nulla" da parte di tali istituzioni.

La causa, la prima di questo tipo mai presentata prima in Canada, potrebbe coinvolgere milioni di Canadesi, sostiene che i contratti stipulati tra i Cittadini (debitori) e le istituzioni finanziarie sarebbero nulli od annullabili e non avrebbero né forza, né effetto, per violazione anticipata e per non aver giustificato le operazioni.

Dempsey sostiene che le transazioni derivano dalla contraffazione e dal riciclaggio di denaro, in quanto tale denaro, se fosse stato davvero anticipato e depositato nei conti correnti dei clienti, non può essere rintracciato, né giustificato, né rendicontato.

L'Agente della Comunicazione Sepp Hasslberger riporta in dettaglio tutta la storia.
Scoprite cosa ha da dire in merito.

Articolo originale pubblicato da Francis Good in data 20 Aprile 2005

martedì, maggio 17, 2005

Tana per Fiorani e Gnutti!

17/05 18:46 - Antonveneta, indagate 23 persone

La Procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati Gianpiero Fiorani, amministratore delegato della Banca Popolare di Lodi, il finanziere bresciano Emilio Gnutti e altre 21 perspne nell'ambito dell'inchiesta sulla scalata di Antoveneta. Le ipotesi di reato sono, a vario titolo, aggiotaggio, insider trading e ostacolo all'attività degli organi di vigilanza.

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Martedì 17 Maggio 2005, 18:39
Scalata Antonveneta: Fiorani e Gnutti (Hopa) indagati per aggiotaggio

Gianpiero Fiorani, amministratore delegato di Banca popolare di Lodi, ed Emilio Gnutti, numero uno di Hopa, sono tra i 23 iscritti nel registro degli indagati della procura di Milano nell'ambito dell'inchiesta sulla scalata di Antonveneta. Oltre al banchiere e al finanziere risultano iscritti, tra gli altri, anche i titolari dei 18 conti depositati presso la sede della Popolare di Lodi, sui quali sono transitate somme per circa 545 milioni di euro utilizzati per operazioni Antonveneta. La magistratura indaga, a vario titolo su reati di aggiotaggio, ostacolo all'attività di vigilanza della Consob e insider trading.

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ricordiamo che questi signori andavano sotto braccio con Fazio fino a pochi giorni fa...

lunedì, maggio 16, 2005

Incredibile ma vero! sig. Raggio

ricerca per italiano: sig. Raggio
Documenti Ufficiali della Comunita' Europea !

dalla serie "facciamo le cose ma non sappiamo/vogliamo dirVi le conseguenze!"
Gazzetta ufficiale delle Comunita' Europee :

• 92002E1673
INTERROGAZIONE SCRITTA E-1673/02 di Roger Helmer (PPE-DE), Charles Tannock (PPE-DE)e Theresa Villiers (PPE-DE) al Consiglio.
Oggetto: sig. raggio.
Gazzetta ufficiale n. C 092 E del 17/04/2003 pag. 0078 - 0078


• 92002E0336
INTERROGAZIONE SCRITTA E-0336/02 di Roger Helmer (PPE-DE) e Charles Tannock (PPE-DE) alla Commissione.
Oggetto: sig. raggio.
Gazzetta ufficiale n. C 028 E del 06/02/2003 pag. 0022 - 0023


• 92002E0259
INTERROGAZIONE SCRITTA E-0259/02 di Christopher Huhne (ELDR) alla Commissione.
Oggetto: previsione dei diritti di sig. raggio per il 2002.
Gazzetta ufficiale n. C 028 E del 06/02/2003 pag. 0019 - 0020


• 92002E0260
INTERROGAZIONE SCRITTA E-0260/02 di Christopher Huhne (ELDR) alla Commissione.
Oggetto: Trattamento dei diritti di sig. raggio e pagamenti ai ministeri del tesoro.
Gazzetta ufficiale n. C 301 E del 05/12/2002 pag. 0036 - 0036


• 92002E0258
INTERROGAZIONE SCRITTA E-0258/02 di Christopher Huhne (ELDR) alla Commissione.
Oggetto: Previsione dei diritti di sig. raggio nel 2002.
Gazzetta ufficiale n. C 301 E del 05/12/2002 pag. 0035 - 0035


• 92002E0257
INTERROGAZIONE SCRITTA E-0257/02 di Christopher Huhne (ELDR) alla Commissione.
Oggetto: Diritti di sig. raggio nel 2001.
Gazzetta ufficiale n. C 301 E del 05/12/2002 pag. 0034 - 0035


• 92001E3525
INTERROGAZIONE SCRITTA P-3525/01 di Christopher Huhne (ELDR) alla Commissione.
Oggetto: Proventi del sig.raggio.
Gazzetta ufficiale n. C 147 E del 20/06/2002 pag. 0197 - 0198


ATTENZIONE:
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giovedì, maggio 12, 2005

Povero Fazio, povero concertista...

IL RETROSCENA.
La Consob ha sconfessato la Banca d'Italia
Antonio Fazio è preoccupato per le prospettive
La partita del Governatore
e le regole da cambiare
In una lettera di Palazzo Koch l'indizio sugli acquisti concertati
di MASSIMO GIANNINI

IL "CONCERTO" c'è stato, ed è finito male. Ma adesso che ne sarà del "direttore d'orchestra"? "Intellectum illuminat, affectum sanat, totum hominem in bono confortat... ". Filosofeggia. Si consola citando San Tommaso, e l'idea alta del "bene comune" secondo l'Aquinate. Ma è inutile girarci intorno. Per Antonio Fazio la decisione della Consob, che ha scompaginato i piani della cordata Fiorani-Gnutti-Lonati-Coppola per il controllo dell'Antonveneta, è un colpo durissimo.

La Commissione guidata da Lamberto Cardia sarà pure intervenuta con un qualche ritardo e una certa titubanza. Ma adesso si capisce il perché. Il titolare della Vigilanza borsistica, denunciando l'esistenza dell'"azione concertata" tra i soci riuniti intorno alla Popolare di Lodi e imponendo l'obbligo di una contro-opa in contanti e migliorativa rispetto a quella dell'olandese Abn-Amro, ha nei fatti sconfessato il governatore della Vigilanza bancaria, che di quella stessa "azione concertata", volente o nolente, ha dato l'impressione di essere l'ispiratore.

La Banca d'Italia, oggi più che mai, è un fortino impenetrabile. Nessun commento sulla decisione della Consob. Nessuna indicazione sulle prossime mosse di Palazzo Koch. Chi ha parlato con il governatore, in queste ore, lo descrive "sereno" sull'operato dell'Istituto, ma anche "preoccupato" sulle prospettive che si aprono adesso. Per il destino dell'Antonveneta, la banca scalata. Ma a questo punto anche per il futuro della Popolare di Lodi, la banca che scala. "Sul piano finanziario, siamo di fronte a una situazione eccezionale: su una stessa banca, nello stesso momento, pendono un'Opa dell'Abn, una Ops della Bpl, e ora una contro-Opa imposta dalla Consob. Sul piano giuridico, siamo di fronte a una situazione anomala: tutto è nelle mani del giudice...". Il Tar, al quale Fiorani ha già annunciato il ricorso. Ma anche le Procure di Roma e Milano, che dal 2 maggio indagano sulla scalata. "Non resta che attendere", è la linea di Via Nazionale. Ma è difficile, a questo punto, non addebitare proprio alla Banca d'Italia la responsabilità di questa situazione, "eccezionale" e "anomala". È impensabile, a questo punto, trascurare il legame troppo forte che Fazio in questi mesi ha intessuto proprio con Fiorani, a tutto danno del prestigio di un'istituzione che è insieme organo di garanzia e presidio per la democrazia. È innegabile, a questo punto, non constatare quanti guasti abbia prodotto, sul piano della credibilità del mercato, un rapporto così assiduo tra l'arbitro e un solo giocatore della partita sulle banche.

Nessuno è in grado di capire cosa sia successo, da quel famigerato sabato pomeriggio di tre mesi fa. Era il 12 febbraio, e alla fine del convegno annuale del Forex il governatore se ne andò a spasso per le vie di Modena, sotto braccio a Fiorani e a Emilio Gnutti. Una passeggiata "strana". Ma plasticamente simbolica, visto il sostegno che la Banca d'Italia, da allora, ha concesso al patron della banca lodigiana e ai suoi amici, nella battaglia per il controllo dell'Antonveneta. Non c'è stato passo compiuto in questi mesi da Fiorani, che non abbia ottenuto il timbro di Via Nazionale. Due le ultime visite conosciute del banchiere padano a Palazzo Koch. La prima il 5 aprile, quando si trattiene da solo per un'ora nell'ufficio di Fazio, al termine dell'incontro rituale con tutti i leader delle maggiori banche del Paese, e intanto in Borsa si registrano volumi d'acquisto sempre più massicci sui titoli Antonveneta. La seconda il 20 aprile, due ore di colloquio, proprio nel giorno in cui anche l'Antitrust dà disco verde all'Opa di Abn, e la Bpl annuncia di aver raggiunto il 26,4% nel capitale dell'Antonveneta, mentre passa ai blocchi un altro 6,7%.

Di fronte a queste accuse di palese "partigianeria", giustificata ora con l'esigenza di "difendere l'italianità", ora con la necessità di "assicurare la stabilità del sistema", il governatore si è sempre schernito. "Io non convoco nessuno, sono i banchieri e gli intermediari che vengono qui, per informarci sui progetti che hanno". Ma dopo l'offensiva a colpi di offerte pubbliche in moneta sonante, aperta sul libero mercato dagli olandesi su Antonveneta e dagli spagnoli di Bbva su Bnl, il governatore non ha mai fatto mistero della sua manifesta propensione verso soluzioni diverse, preferibilmente concordate e possibilmente "domestiche". Secondo molti, Fazio avrebbe anche colto l'occasione della battaglia delle Opa per ridefinire i rapporti di forza nel sistema finanziario (e quindi industriale) del nostro Paese. Incrinato proprio a causa della partita Antonveneta il suo storico asse di ferro con Cesare Geronzi, per anni "esecutore materiale" dei processi di ristrutturazione bancaria ideati da Via Nazionale, il governatore avrebbe scommesso proprio su Fiorani come erede ideale di questa "cinghia di trasmissione" dei poteri creditizi.

Ma ora, in attesa delle iniziative della magistratura milanese, la Consob getta una luce inquietante sulla vicenda. Nelle 27 cartelle dell'"atto di accertamento" sulla scalata all'Antonveneta, Cardia svela tute le tappe di un "concerto", quello tra Fiorani e i suoi alleati, che sarebbe iniziato addirittura nel novembre 2004. Il meccanismo è sempre lo stesso: la Popolare di Lodi erogava crediti ai finanzieri "amici" (da Gnutti a Lonati, da Ricucci a Coppola) che li impiegavano per comprare azioni Antonveneta. In sei mesi l'attacco è tambureggiante, e come scrivono i commissari Consob si sviluppa "sempre con modalità operative tali da consentire, mediante l'esecuzione di attività coordinate, che le azioni messe in vendita fossero acquistate sempre da soggetti predeterminati". La Banca d'Italia sapeva? Anche su questo, Fazio ha sempre negato tutto: "Noi - è la linea ripetuta da tempo a Palazzo Koch - rispettiamo le leggi e le regole del mercato. Non abbiamo mai privilegiato nessuno. D'altra parte, non abbiamo forse dato via libera anche all'Abn?". L'autodifesa si presta ad almeno due obiezioni. La prima: l'indizio che Bankitalia sapeva lo ha fornito Repubblica, che domenica primo maggio ha pubblicato la lettera con la quale l'Istituto, il 14 febbraio, aveva autorizzato Lodi a salire fino al 14,9% di Antonveneta. In quella missiva si parla della Bpl come "soggetto individuato" da alcuni imprecisati soci della banca padovana per "coordinarsi... allo scopo di raggiungere nuovi equilibri di governance". Più chiaro di così. La seconda obiezione: è vero che c'è stato il via libera all'Opa olandese, ma mentre i vertici di Palazzo Koch hanno impiegato sempre poche ore per dare ogni volta disco verde a Fiorani, Abn ha dovuto aspettare più di un mese, tra la notifica dell'Opa (inoltrata il 18 marzo) e l'autorizzazione a salire al 30% (effettivamente concessa solo il 27 aprile).
Cosa resta di buono, sul mercato, di queste manovre che la Banca d'Italia, magari anche suo malgrado, ha finito per avallare? Fiorani dovrebbe lanciare una contro-Opa. Secondo calcoli grossolani, per renderla competitiva con quella di Abn dovrebbe sborsare circa 3 miliardi di euro. Dove possa trovarli è un mistero. E questo getta più di un'inquietudine sul futuro di una Bpl già pesantemente esposta, se è vero che la stessa Banca d'Italia, nella lettera con la quale il 7 aprile 2005 autorizzava Fiorani a salire al 29,9% di Antonveneta scriveva: "Gli ulteriori sviluppi dell'operazione dovranno risultare coerenti con l'esigenza di garantire adeguati equilibri tecnici, con particolare riferimento alla situazione patrimoniale complessiva". Circola l'ipotesi che il banchiere lodigiano sia pronto a rilanciare, mettendo sul piatto un'offerta per cassa su Antonveneta di 24 euro per azione. "Non sappiamo nulla", si dice a Palazzo Koch, dove tuttavia non si esclude un'altra visita a breve dello stesso Fiorani. A questo punto "per ridiscutere sul rispetto dei ratios", e tornare a ragionare nei termini più propri della competenza di Bankitalia, cioè "il controllo sulla stabilità del sistema".

Fazio è sempre più isolato. Non si aspettava uno schiaffo così sonoro dalla Consob. Ha parlato a più riprese, in questi giorni, con il suo "collega". Ma alla fine Cardia non ha ceduto alle pressioni: "Abbiamo preso una decisione dolorosa, ma doverosa", commentava ieri. Una decisione che, almeno in parte, serve a salvare la faccia del mercato finanziario italiano, mai così screditato all'estero. "Non è chiaro come farà Bpl ad assorbire Antonveneta, la cui capitalizzazione è tre volte superiore - scriveva il Wall Street Journal il 3 maggio - normalmente in una situazione del genere l'offerente sarebbe già fuori della corsa. Ma siamo in Italia, assistita dalle regole della sua banca centrale...". Se i risultati sono questi, è davvero il tempo di cambiarle, queste regole. Meglio se con il consenso della stessa banca centrale, che dovrebbe finalmente riscoprire la cultura del mercato e far crescere una sana concorrenza. In caso contrario, sarà il caso di adottare un vecchio metodo caro a Woodrow Wilson: "Il modo per arrestare certe folli corse della finanza è fermare l'autista, non l'automobile".

(12 maggio 2005)

ricordiamo i Soci di Bankitalia S.p.A.:

    Gruppo Intesa (27,2%),
    Gruppo San Paolo (17,23%),
    Gruppo Capitalia (11,15%),
    Gruppo Unicredito (10,97%),
    Assicurazioni Generali (6,33%),
    INPS (5%),
    Banca Carige (3,96%),
    BNL (2,83%),
    Monte dei Paschi di Siena (2,50%),
    Gruppo La Fondiaria (2%),
    Gruppo Premafin (2%),
    Cassa di Risparmio di Firenze (1,85%),
    RAS (1,33%)...


martedì, maggio 10, 2005

Repubblica: ZUCCONI risponde (?) sul signoraggio

da Repubblica

IL COSTO DEL DENARO

Egr. Sig. Zucconi, sono incuriosito ed un po' preoccupato da quando, per caso, sono venuto a conoscenza della pratica del "signoraggio", ed in particolare del perché nessuno si "degna" di spiegare ai cittadini del perché non abbiamo più una Banca d'Italia, o meglio la Banca d'Italia è ora gestita da privati ( come del resto la banca centrale Europea) per cui il guadagno sul signoraggio va all'Ente che emette moneta, semplice no? Le banconote le emette la Banca Centrale Europea, le monetine il Ministero del Tesoro" "Pensate a quante banconote ci sono in giro! Togliete il costo per averle "create", e il resto va in tasca ai banchieri privati! Sono le nostre tasse! Noi paghiamo le tasse per rimborsare un prestito di carta colorata a dei banchieri privati!" "Lo sapete o no che è questo che determina il Debito Pubblico? Vi siete mai chiesti verso chi siamo in debito? Chi di voi ha mutui, prestiti, fidi, è in debito verso la banca che ha fatto il prestito. Tutti, comunque, hanno una parte di debito pubblico, ma non verso gli Stati, ma verso i banchieri privati! ringrazio e saluto:
Paulo

Risposta del Zucconi
Il danaro costa soldi, come qualsiasi altra "commodity", qualunque altro bene. Costa produrlo, costa distribuirlo, costa comperarlo. Se vuole sapere un po' di più sul "signoraggio", senza laurearsi in economia e finanza, provi il sito: http://www.focus.it/dr/7406_19_12_17.asp
(10 maggio 2005)

Poteva andare meglio. E' comunque pubblicità alla causa

lunedì, maggio 09, 2005

Giuliano Amato e il signoraggio

da corriere.it

E sulle politiche economiche: uscire dalla logica degli incentivi a pioggia
Amato: «La sinistra italiana segua Blair»
L'ex premier: «Rischiamo di tornare agli anni 30, banche azioniste di tutto. Bankitalia rifletta sull'isolamento internazionale»

"...

Il suo «no» al taglio delle tasse non è, quindi, pregiudiziale?
«Vorrei evitare che discutessimo per un anno se ci conviene o no presentarci alle elezioni come tagliatori delle imposte. Dico più semplicemente che per le condizioni del nostro deficit non ci possiamo permettere un vero shock fiscale, quindi è inutile discuterne. Soltanto Washington se lo può consentire grazie al trasferimento sui consumatori americani dei vantaggi dovuti al signoraggio del dollaro. Il taglio che si potrebbe fare a Roma sarebbe tutt’al più nell’ordine delle gocce. Loro lo fanno a galloni».

..." [da continua]

La Malfa: prima e dopo (la poltrona?)

PRIMA

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Flash del 26 Dicembre 2003
Giorgio La Malfa: chiudiamo la Banca d'Italia

"Se il governatore dice che non poteva fare nulla e che non si e' accorto delle decine di migliaia di risparmiatori che hanno perso i loro investimenti, allora ci si chiede se non resta altro da fare che chiudere Bankitalia". Lo afferma il Presidente della Commissione Finanze della Camera, Giorgio La Malfa, commentando ai microfoni di Radio Radicale le dichiarazioni di Fazio apparse sul quotidiano "La Repubblica" il 24 dicembre sui casi Cirio e Parmalat.
"Sono rimasto senza parole. Il leit motiv di questa specie d'intervista e' stato: tutto va bene madama la marchesa, non c'e' niente di cui preoccuparsi, noi non potevamo fare nulla, la Banca d'Italia non ha alcuna responsabilita'. Ci sono migliaia di risparmiatori che hanno perso i propri soldi, magistrati che stanno indagando su pesantissime responsabilita', il quotidiano 'Financial Times' parla di un Paese, l'Italia, su cui non si puo' avere fiducia e Fazio e' sereno. Allora se la Banca d'Italia non ha nulla a che vedere con tutto questo, tanto vale scioglierla. Non ha piu' i compiti di politica monetaria, che ora spettano alla Bce. Se non ha piu' nemmeno i compiti di vigilanza sulle banche e sul risparmio vuol dire che non serve piu' a niente".
Secondo La Malfa, il governatore della Banca d'Italia deve avere alcune caratteristiche: "Deve conoscere la situazione delle banche e quella delle imprese fino in fondo e deve essere equidistante e terzo rispetto a tutti. Fazio non ha queste caratteristiche e non ha la conoscenza dei problemi. Non va bene il suo atteggiamento. I capi delle banche che ha sponsorizzato hanno commesso molti errori nelle vicende che abbiamo visto e questo e' un problema".


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PRIMA

"La Stampa" 28 gennaio 2004/La Malfa accusa

"Fazio? Difesa preoccupante"

Durissimo, impietoso, è il commento del presidente della Commissione Finanze della Camera Giorgio La Malfa all'audizione di Antonio Fazio, con cui ha duramente duellato. ""Mi ha molto colpito - spiega - una sua frase cruciale: ovvero, che le stesse banche finanziatrici siano state indotte in gravi errori di valutazione. Mi pare una difesa debole, non utile, del sistema bancario. Sono affermazioni preoccupanti". [continua...]

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Generali, La Malfa e Cossiga contro Fazio

Attacco concentrico al governatore di Bankitalia Antonio Fazio dopo l'acquisto del 2% del capitale Mediobanca annunciato venerdì da Unicredito. Secondo il presidente della commissione Finanze della Camera, Giorgio La Malfa, «se è vera l'affermazione di Unicredito di essersi mosso su autorizzazione del governatore della Banca d'Italia, questo pone il problema se sia mantenibile la carica di governatore al dottor Fazio». Il senatore a vita Francesco Cossiga si chiede se a rispondere politicamente della vicenda siano i ministri Tremonti e Marzano o il governatore. Secondo Cossiga i grandi avvenimenti economici, come questo o la crisi Fiat, pongono un problema politico-istituzionale «non più dilazionabile».
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Generali, La Malfa: "Fazio deve dimettersi"

Critiche sul governatore della Banca d'Italia favorevole all'intervento di Unicredito. La Malfa: "Fazio non può svolgere attività di politica economica". Duro Cossiga; Fassino (Ds) difende il governatore

MILANO – Scuote anche il mondo politico la vicenda delle Generali. Critiche ed elogi piovono soprattutto sul governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, che ha detto di essere favorevole all’intervento di Unicredito nel capitale del Leone di Trieste.
Deve andare via, chiede senza mezzi termini Giorgio La Malfa, presidente della commissione Finanze della Camera.
Con lui l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, mentre per il leader dei Ds Piero Fassino è convinto che la posizione assunta dl governatore è positiva perché evita la scalata di gruppi stranieri alla prima compagnia assicurativa italiana. E anche i consumatori intevegono nel dibattito, criticando Fazio e prendendo la palla al balzo per accusare l'intero sistema bancario e finanziario di essere inefficiente e troppo costoso.

"In questa situazione si devono chiedere le dimissioni del Governatore”, spiega a Radio Radicale La Malfa, “la verità è che siamo di fronte a una grave crisi bancaria che parte da un Istituto molto vicino al potere della Banca centrale e che travolge lo stesso Governatore". Il Repubblicano La Malfa si chiede: "Il governo può sopportare che il Governatore della Banca d'Italia svolga una politica economica dopo l'uscita dello Stato dall'economia? Abbiamo deciso di abolire l'Iri per avere la Banca d'Italia che decide quello che prima decideva l'Istituto per la Ricostruzione Industriale? Sono problemi istituzionali molto delicati che impongono al governo una decisione molto rapida sui vertici di Via Nazionale". E poi aggiunge: “Il governo non può sopportare tutto questo, deve prendere atto che Fazio non è nelle condizioni di poter esercitare con equilibrio il suo mandato. Mi dispiace di non aver firmato, a suo tempo, la proposta Tabacci circa le funzioni di vigilanza nel sistema bancario".

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DOPO

da onemoreblog
07 Maggio 2005 - Giorgio La Malfa

Da l'Unità di oggi: «Chi si ricorda Gorgio La Malfa, severo censore di Antonio Fazio? Se qualcuno ha in mente le vecchie polemiche, meglio che le dimentichi. Appena nominato ministro, La Malfa è diventato un altro. Ha subito una metamorfosi incredibile. È diventato fazista. Ieri ha pranzato col governatore della Banca d’Italia. Il neo ministro La Malfa ha annunciato l’intenzione di difendere in sede europea l’operato di Fazio nelle battaglie in corso per Antonveneta e Bnl. Che svolta. Merito della poltrona?» Intanto Ugo si rivolta nella fossa.

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La giornata di ieri ha visto anche grandi manovre politico-bancarie legate alle due offerte su Antonveneta e Bnl. Il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, che ha ricevuto a Palazzo Koch per una colazione di lavoro il ministro per le Politiche comunitarie, Giorgio La Malfa. I contenuti del secondo colloquio tra i due, da quando La Malfa è stato nominato al governo, non sono stati resi noti. Probabilmente l’incontro ha riguardato il viaggio che tra lunedì e martedì vedrà impegnato il ministro a Bruxelles. Nella capitale belga, La Malfa vedrà il presidente della commissione europea, Josè Manuel Barroso, e il commissario al Mercato interno, Charlie McCreevy, per discutere, tra l’altro, il regime speciale di cui godono in Italia le banche popolari. Invece, il presidente della Commissione Attività produttive della Camera, Bruno Tabacci, riferendosi a Fazio, ha ricordato che l’«arbitro non deve fare anche il giocatore».
Fabio Pisano

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venerdì, maggio 06, 2005

La Storia Proibita

dalla PRESENTAZIONE de "La Storia Proibita"
a cura di NICOLA ZITARA

Come collettività nazionale, siamo considerati il paese piú subdolo del mondo. E, in effetti, lo siamo.

Si tratta di un vizio antico, spesso sanzionato dagli stessi italiani, a cominciare dal padre Dante, elogiato, invece, da Machiavelli. Bisogna aggiungere, però, che la disistima degli altri popoli europei, se, un tempo, coinvolgeva i signori regionali, la curia romana, i soldati di ventura e il personale politico che si metteva al servizio di monarchi stranieri, toccava molto meno i meridionali. Al Sud, l'ipocrisia politica è un malcostume acquisito per contagio. La sua prima manifestazione ha una data ben precisa, i fatti del 1799, allorché la concezione borghese della proprietà piena e assoluta si scontrò con la vitale esigenza dei contadini a tenere in vita le antiche forme di godimento promiscuo della terra.

La patriottica campagna denigratoria dell'uomo meridionale ebbe un corposo seguito al tempo della conquista del Sud. Cominciò, Cesare Abba, seguirono Francesco De Sanctis e Pasquale Villari. Edmondo De Amicis e Renato Fucini vi aggiunsero un tocco di elegante scrittura, la testa bovina di Cesare Lombroso inquadrò il tema in termini scientifici. Poi, rinsaldatosi lo Stato unitario, la cosa passò in mano agli stessi meridionali, quelli reputati piú illustri, come voscienza Giovanni Verga e il plurimiliardario don Benedetto Croce (fotte e chiagne). Dopo la seconda guerra mondiale, avendo letto Gramsci, il Principe di Lampedusa e tutta un'orda di maestri della penna e della macchina da presa trovarono che era pagante l'intingere nel brodo dell'arretratezza sudica.

La corale e patriottica condanna dei sudici e acefali meridionali s'intrecciò - non proprio per caso - con la sistematica diffamazione dell'intera dinastia dei Borbone di Napoli, con calunnie confezionate nelle logge massoniche nazionali e forestiere.

Probabilmente l'uso della facezia in un tema di sí grande portata farà rizzare il pelo alle anime belle, ma la cinica ed interessata ipocrisia che insozza gli ultimi due secoli di storia nazionale italiana merita non solo d'essere demistificata, ma anche irrisa e beffata.

Nella prima metà del XX secolo la nuova classe dei capitalisti agrari, industriali e finanziari, oltre a mal sopportare il proletariato divoratore di pane - una terribile remora all'accumulazione di profitti - mostrava una grande avversione per quei re che si ostinavano a non cederle il potere.

I re di Napoli erano fra i piú coriacei, e non solo perché si autogiudicavano degli unti del Signore, ma anche perché erano convinti che le modernizzazioni non si dovessero obbligatoriamente accompagnare alla pauperizzazione capitalistica. Ma la calunnia è un venticello. Attraverso la stampa londinese e le missioni all'estero dei suoi leader mondiali, il partito dell'avvento dei capitasti al potere e della fame popolare ebbe l'abilità di caricare l'aggettivo borbonico di un segno fortemente negativo. Al buon esito della macchinazione, fece da supporto subliminale l'antagonismo tra il predace mondo anglosassone e la quieta civiltà mediterranea.

Siccome il contenuto negativo, insufflato nell'aggettivo borbonico, faceva comodo ai a chi governava l'Italia unita in senso antimeridionale, le sue radici vennero rincalzate con insolita diligenza, cosicché l'ortica continua a provocare il prurito. Tuttora un'imposta particolarmente oppressiva viene definita borbonica. Una burocrazia poco funzionante viene raffigurata come borbonica. Un padrone antiquato ed esoso subisce identica censura e viene accusato di borbonismo. Ancora oggi i Borbone sono considerati la negazione di Dio, i nemici più fieri e accaniti della modernità, della civiltà, della democrazia politica, della giustizia sociale, del progresso culturale, della libertà di pensiero. Le loro carceri erano infami, e cosí pure la loro polizia; i loro ministri erano degli autentici carnefici; gli stessi re dei feroci buffoni. Per opposizione logica, i loro avversari godono della palma di patrioti, di persone che si prodigarono fino al martirio per la libertà del popolo meridionale e per la grandezza d'Italia; a loro viene attribuito il merito di aver salvato il Meridione, altrimenti condannato all'arretratezza, all'improduttività, all'ignoranza.

Quanto detto salvataggio sia stato proficuo, è inutile dire: la cosa è sotto gli occhi di tutti. Non si tratta, però, di una fotografia stampata su un cartoncino. La perdizione dei salvati dall'assunto naufragio non migliora minimamente, anzi ci sono del momenti in cui peggiora fortemente. Nell'analisi dei processi sociali attraverso cui il passato è divenuto questo presente infame (e non uno diverso), c'è qualcosa che resta ancora in ombra. Si tratta della ragione politica in forza della quale un castello di bugie regge da centoquarant'anni e tuttora allunga la sua ombra maligna sulla prosa giornalistica, sulla comunicazione mediatica e persino sui testi accademici. A ben vedere, la dinastia borbonica è ormai un ricordo vecchio di un secolo e mezzo. Nelle quotidianità, le sue tracce dovrebbero essere evaporate, come quelle dei Lorena, degli Estensi, del papa-re, dell'imperatore d'Austria. Allora perché anche gli attuali mali del Sud sono da imputare ai Borbone? Se Genova viene sommersa dall'acqua e dai detriti dei torrenti, a nessuno viene in mente di chiamare in causa Carlo Alberto o la Compagnia di San Giorgio. Se a Firenze accade la stessa cosa, nessuno si mette a sciorinare le responsabilità del granduca. Non è, per caso, che le colpe dei Borbone facciano il paio con quella mancanza di voglia di lavorare o con il familismo amorale per cui i meridionali siamo stati resi famosi in Italia?

La spiegazione c'è, ma si ha un pressante interesse a tenerla nascosta. Essa consiste nel rovesciamento delle responsabilità, nella precostituzione di un alibi a favore del vero colpevole.

Ormai vediamo una tale quantità di film gialli che ciascuno di noi può impancarsi a Sherlock Holmes. Garibaldi era ancora a Napoli, l'intrepido re del Regno di Sardegna non era ancora sceso attraverso le Marche e l'Abruzzo a prendere possesso della nuova conquista, che le classi proprietarie meridionali si rendevano conto d'avere commesso un errore grossolano, un atto controproducente, svendendo - immediatamente dopo la vittoria di Napoleone III sull'Austria - la dinastia borbonica e l'indipendenza del paese meridionale (qui stiamo attenti: non tanto ai Savoia, quanto) alla classe dirigente toscopadana.

Dal canto loro i contadini, gli artigiani, gli sbandati dell'esercito borbonico, piccoli e grandi proprietari, sacerdoti, professionisti e massari delle province insorgevano contro l'invasore, accendendo una guerra per bande.

Io non so dire se chi aveva il potere a Torino si pose veramente il problema di lasciare il Sud conquistato. A riguardo si ha solo qualche dato, per esempio un articolo di Massimo d'Azeglio, nel quale l'ex primo ministro sabaudo propone una specie di referendum pro o contro l'unità, da svolgersi fra i meridionali.

La proposta non ebbe eco presso la destra moderata, che era al governo, né tantomeno presso le varie correnti di sinistra, fortemente unitarie. Sta di fatto che, nonostante il malumore si diffondesse fra tutte le classi e nonostante la rivolta contadina andasse assumendo le dimensioni di una rivoluzione popolare, gli uomini che avevano la direzione del nuovo Stato non erano piú nella condizione di tornare indietro e di restituire la libertà agli italiani del Sud. Il re, che adesso aveva contro non solo l'Austria, ma anche la Francia, non avrebbe potuto declinare a cuor leggero il trono di una potenza in fieri di dimensioni europee. Dal canto loro i comandi militari, che si prospettavano un grosso esercito e un'armata navale capace di fronteggiare sia la flotta austriaca sia, eventualmente, quella francese, sapevano che l'erario sabaudo non bastava alla bisogna. La base imponibile, passata, in meno di due anni, da cinque a ventitré milioni di contribuenti, non poteva venire revocata. L'apporto della Lombardia, della Toscana, dei Presidi e di gran parte dello Stato della Chiesa era stato divorato in un lampo dalla voragine debitoria che le iniziative cavouriane avevano prodotto nel bilancio sabaudo. Per giunta, il nuovo Stato si rivelava piú costoso di tutti gli ex Stati conquistati, messi assieme. Senza il saccheggio del risparmio storico del paese borbonico, l'Italia sabauda non avrebbe avuto un avvenire. Sulla stessa risorsa faceva assegnamento la banca ligure-piemontese. La montagna d'argento circolante al Sud avrebbe fornito cinquecento milioni di monete metalliche, una massa imponente da destinare a riserva, su cui la banca d'emissione sarda - che in quel momento ne aveva soltanto per cento milioni - avrebbe potuto costruire un castello di moneta bancaria alto tre miliardi. Come il Diavolo, Bombrini, Bastogi e Balduino non tessevano, eppure avevano messo su bottega per vendere lana. Insomma, per i piemontesi, il saccheggio del Sud era l'unica risposta a portata di mano, per tentare di superare i guai in cui s'erano messi.

C'erano poi l'Inghilterra, contraria all'ipotesi che la Francia avesse altro spazio nel Mediterraneo, e non ultimi gli affaristi che badavano solo ad arricchirsi. Dal loro punto di vista, l'allargamento del Regno di Sardegna all'intera Italia era una manna: aveva fatto calare dal cielo, attraverso miracolosi processi, un mercato pari in ampiezza a quello britannico e a quello francese, ma tutto ancora da riempire di speculazioni. In tale clima, i progetti stradali e ferroviari saltavano fuori dai loro portafogli e dai portafogli dei mediatori sardi dei banchieri inglesi e francesi come i piccioni dal cappello di un prestigiatore.

Insomma, nel quadro della politica liberista e allo stesso tempo espansionista (protezionismo dall'interno, la definì Francesco Ferrara) impostata, ed imposta, da Cavour, il paese meridionale, con i suoi nove milioni di abitanti, con il suo immenso risparmio, con le sue entrate in valuta estera, appariva una gran risorsa. Invece il Sud borbonico era pago di sé, alieno da ogni forma di espansionismo territoriale e coloniale. La sua evoluzione economica era lenta, ma sicura. Chi reggeva lo Stato era contrario alle scommesse politiche e preferiva misurare la crescita in relazione all'occupazione delle classi popolari. Nel sistema napoletano, la borghesia degli affari non era la classe egemone, a cui gli interessi generali erano ottusamente sacrificati, come nel Regno sardo, ma era una classe al servizio dell'economia nazionale.

La retorica unitaria, che copre interessi particolari, non deve trarci in inganno. Le scelte innovative adottate da Cavour, quando furono imposte all'intera Italia, si erano già rivelate fallimentari in Piemonte. A voler insistere su quella strada fu il cinismo politico di Cavour e dei suoi successori, l'uno e gli altri più uomini di banca che veri patrioti. Una modificazione di rotta sarebbe equivalsa a un'autosconfessione. Quando, alle fine, vennero imposte anche al Sud, ebbero la funzione di un cappio al collo. Bastò qualche mese perché le articolazioni manifatturiere del paese, che non aveva bisogno di ulteriori allargamenti di mercato per ben funzionare, venissero soffocate. L'agricoltura, che alimentava il commercio estero, una volta liberata dei vincoli che i Borbone imponevano all'esportazione delle derrate di largo consumo popolare, registrò del tutto una crescita e ci vollero ben venti anni perché i governi sabaudi arrivassero a prostrarla. Da subito, lo Stato unitario fu il peggior nemico che il Sud avesse mai avuto; peggio degli angioini, degli aragonesi, degli spagnoli, degli austriaci, dei francesi, sia i rivoluzionari che gli imperiali.

Prima ancora che si riunisse il parlamento nazionale (marzo 1861), il paese meridionale mandava segnali ben visibili d'insofferenza. Chi vuol farsi un'idea dei sentimenti aleggianti nell'aria appena un mese e mezzo dopo la resa di Gaeta, legga l'intervento parlamentare del deputato napoletano Polsinelli - un antiborbonico che usciva del carcere - a proposito del dictat cavouriano in materia di tariffe doganali. E' un documento molto istruttivo!

Il Sud borbonico era un paese strutturato economicamente sulle sue dimensioni. Essendo, a quel tempo, gli scambi con l'estero facilitati dal fatto che nel settore delle produzioni mediterranee il paese meridionale era il piú avanzato al mondo, saggiamente i Borbone avevano scelto di trarre tutto il profitto possibile dai doni elargiti dalla natura e di proteggere la manifattura dalla concorrenza straniera. Il consistente surplus della bilancia commerciale permetteva il finanziamento di industrie, le quali, diversamente dalle favole sabaudiste raccontate dagli accademici circonfusi di alloro, erano sufficientemente grandi e diffuse, sebbene ancora non perfette e incapaci a proiettarsi sul mercato internazionale, come, d'altra parte, tutta l'industria italiana del tempo (e dei successivi cento anni).

Niente di piú la storia effettiva, non è impresa facile in un ambiente in cui il falso è glorificato come patriottismo. Farla conoscere è ancora più arduo, perché la verità si scontra con una falsificazione istillata nella mente dei fanciulli insieme al catechismo.

In quest'opera di recupero, che coinvolge animi generosi e autentici patrioti, gli autori non hanno messo soltanto la passione che il lettore vede zampillare da ogni frase, ma alquanta sagacia; la sagacia di chi vuole comunicare una fede, e che pertanto scrive per farsi leggere.

Nel libro, le informazioni arrivano come le raffiche di una mitragliatrice che non s'inceppa. Bastano le prime venti pagine per stendere l'avversario.

E' vendetta, rivalsa, giustizia sommaria? No, è la dignità di patria nata nel cuore di persone coraggiose. Ed è un'arma terribilmente efficace, in quanto arma a sua volta il cuore degli altri.

Nicola Zitara

giovedì, maggio 05, 2005

Ciampi tifa ancora per l'Euro

Ciampi premiato ad Aquisgrana:
"L'euro è una riforma incompiuta"

AQUISGRANA - Carlo Azeglio Ciampi ha ricevuto oggi ad Aquisgrana il premio Carlo Magno per meriti europei e, nel corso della cerimonia, ha lanciato un forte ammonimento: l'Europa è a un bivio importante, deve approvare il Trattato, andare verso "un'autentica volontà politica comune" e completare i progetti già avviati. Non deve ascoltare "le sirene del nazionalismo" che riporterebbero l'Europa ad un passato di divisione ed impotenza, "sarebbe una beffa della storia".

Ma ha anche osservato che l'euro è da considerare una riforma europea incompiuta. Ciampi ha infatti ricordato che già tre anni fa disse che era un danno "non aver fatto seguire all'unificazione monetaria un incisivo coordinamento delle politiche economiche dei singoli stati e l'introduzione, a tal fine, di nuove procedure operative". Da allora, non si è fatto "alcun vero avanzamento", osserva Ciampi aggiungendo: "non ci si può dunque rammaricare se gli effetti positivi dell'euro si sono manifestati solo parzialmente, se la crescita economica langue".

(2005-05-05 12:59:05)

Giuliano Amato e il signoraggio del dollaro.


"Contributo per un programma riformista"


News del 04-05-2005

A che punto sta il programma dell’Unione? A quanto pare ancora in alto mare; e la conferma ci arriva anche dal “Contributo per un programma riformista”, convegno organizzato dalla Fondazione Italianieuropei in occasione dell’uscita del nuovo numero dell’omonima rivista. L’incontro, tenutosi al Cinema Adriano di Roma, ha spaziato nella sessione pomeridiana sui temi dell’Economia.

Giuliano Amato, introducendo i lavori, ha invitato a non limitarsi a fare l’analisi e offrire invece soluzioni ai problemi del nostro Paese. In parole povere, è arrivato il momento delle proposte concrete da sottoporre al paese.

Amato ha provato a stimolare la discussione illustrando le sue linee di indirizzo. Tra queste alcune meritevoli di qualche riflessione. Primo: “Togliamoci dalla testa di voler fare gli americani – ha detto il professore -, non siamo in grado di utilizzare la leva fiscale per incentivare la domanda; solo gli Usa possono farlo perché possono contare sull’azione di signoraggio del dollaro”. Secondo: “smettiamola con le formule astratte del tipo più formazione, più ricerca, più welfare; bisogna essere concreti e avere il coraggio di introdurre incentivi qualitativi rompendo le resistenze corporative”. Quanto allo Stato sociale, esso “deve essere uno strumento di sviluppo con l’obiettivo, l’output futuro, di aumentare il numero di famiglie costruite su due redditi”.
Ovviamente c’è il problema di come reperire le risorse - ha ammonito Amato. Presto detto: “bisogna invertire la tendenza che soprattutto in Italia fa preferire l’investimento improduttivo (il denaro) all’investimento volto alla produzione di beni. Ma per far ciò bisogna cambiare la proporzione che in Italia vede il redditi da lavoro tassato al 32% e le rendite finanziarie al 12.

Ricapitolando, Amato ha toccato alcuni temi sensibili soprattutto dal punto di vista elettorale: tasse, interessi corporativi, tassazione maggiore delle rendite finanziarie. Tre bei sassolini lanciati nello stagnante programma dell’Unione, che non hanno avuto, però, grosso seguito nella discussione. Chi si è alternato nei successivi interventi (Pierluigi Bersani, Nicola Rossi, Rutelli, Boselli, e così via gli altri Big del centrosinistra) ha condiviso in linea di massima le parole di Amato, ma è rimasto sul vago, limitandosi a ripetere formule trite e ritrite da mesi.
Memorabile, a tal proposito, il “comizio” del socialista Boselli che, per la serie parole e non fatti, ha deliziato l’assonnata platea dell’Adriano con: “la fabbrica di Prodi è una sede per ascoltare i cittadini; abbiamo idee di fondo condivise, ci muoveremo nell’interesse generale…” E fermiamoci qui per carità di patria.

Una nota curiosa anche se non nuova: Rutelli è arrivato in tempo per il suo intervento ed è andato via (quando si dice il caso), per improcrastinabili impegni elettorali, poco prima che arrivasse Prodi, protagonista del colpo di scena finale. Nel corso della tavola rotonda conclusiva con Amato, D’Alema e il direttore di Repubblica Ezio Mauro, il leader dell’Unione ha infatti annunciato la nascita della “cabina di regia per il programma”.
Tanto per chiarire lo stato dell’arte a chi avesse ancora le idee confuse.

Antonio Marulo