mercoledì, gennaio 25, 2006

L'angolo della follia.

da oggi inizia un piccola rubrica nella rubrica:
l'angolo della follia. Questa rubrica riporterà tutte quelle dichiarazione di personaggi "famosi/importanti", in ambito monetario, che richiedono 5 o 6 letture ripetitive data l'istintiva incredulità suscitata dalle parole assurde dell'articolo in questione.. buon divertimento



da repubblica
EURO: TREMONTI, NON POSSO PARLARE MA FIDUCIA IN BCE

(AGI) - Bruxelles, 24 gen. - L'Eurogruppo ha parlato di tassi di interessi ma "non posso parlarne" perche' su questo argomento "ci pensa la Bce". Lo ha affermato il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, a conclusione della riunione Ecofin in cui ha ribadito che i ministri dei Dodici "continuano ad avere motla fiducia". "Nella discussione di ieri - ha comunque detto - non sono emersi toni specifici o discussioni particolari. Pero' l'impegno e'stato a non parlare, comunque e io sono abbastanza leale: se si puo' parlare si parla, se non si puo' parlare non si parla".

24/01/2006 - 14:37

domenica, gennaio 22, 2006

"La Padania" denuncia ufficialmente il signoraggio

da La Padania Online


Lo strapotere delle banche centrali sui destini dei popoli
Il fantasma del disavanzo pubblico

Si pensa comunemente che le Banche di Emissione siano istituzioni pubbliche che hanno a cuore gli interessi dei cittadini e che non siano quindi a scopo di lucro. In realtà non si tratta affatto di enti statali ma di società private che generano utili colossali col “prestarci” il nostro denaro, contro la consegna di titoli fruttiferi. Sembra un’assurdità, ma è così che si genera il disavanzo dello Stato, quel famigerato debito pubblico che penalizza tutte le azioni di governo e grava sulle spalle dei cittadini.
Ecco come funziona. La banca - oggi la Banca Centrale Europea, una volta la Banca d’Italia - stampa le banconote e iscrive al passivo nel proprio bilancio il loro ammontare, come se fosse una somma di proprietà della Banca e conferita da questa allo Stato. Allo stesso tempo, dal Ministero del Tesoro la Banca incamera titoli di Stato e iscrive il loro ammontare all’attivo del proprio bilancio.
A questo punto tali titoli vengono “piazzati” (leggi: “venduti“) presso le banche e gli istituti di credito che, a loro volta, li vendono ai loro clienti. Con questa operazione, la Banca centrale incassa subito sul mercato le somme che ha “prestato”allo Stato, il quale poi questi stessi titoli li rimborserà alla scadenza.
Dal canto suo lo Stato (contestualmente alla Banca centrale e per la medesima partita) iscrive al passivo nel proprio bilancio le somme che la Banca gli ha “prestato“, quelle banconote che in realtà appartengono ai cittadini e quindi dovrebbero essere iscritte all’attivo del bilancio dello Stato.
Così si attua la mostruosità contabile dell’iscrizione contestuale al passivo, da parte di due contraenti, delle somme relative alla medesima transazione.
E’ con queste operazioni che si produce il debito pubblico, che per effetto dell’erronea iscrizione in bilancio diventa quindi pari al doppio delle somme transate.
Ma come si è potuti arrivare ad accettare e istituzionalizzare una situazione di questo genere?
La storia comincia con l’abbandono del gold standard, quando nessuna moneta ebbe più copertura aurea. Fu in seguito agli accordi di Bretton Woods e dopo la dichiarazione del 15 Agosto 1971 del presidente degli Stati Uniti d’America Richard Nixon, che a Camp David dichiarò che il dollaro, che sino ad allora era stata l’unica valuta convertibile, non sarebbe più stato cambiato col metallo prezioso.
Ma era già dal tempo della fondazione della Banca d’Inghilterra che le banche centrali, le quali battevano moneta per conto degli Stati, avevano cominciato a introdurre progressivamente sui mercati le monete cartacee (il cosiddetto oro - carta) che di fatto non erano più, come si voleva continuare a far credere, “fedi di deposito“, poichè nei forzieri non esisteva più una quantità di oro corrispondente al denaro circolante.
Si era così prodotto il fenomeno che consentiva agli enti di emissione di consegnare agli Stati la carta moneta, come se invece di essere i cassieri degli Stati essi fossero i proprietari della moneta. Fu così che le banche cominciarono a “prestare” non l’oro o un titolo che rappresentava l’oro, ma della carta stampata, conferita a titolo di “prestito”su cui vanno pagati gli interessi.
La moneta cartacea è moneta fiduciaria, il cui valore cioè non deriva da chi la stampa (la Banca Centrale) ma dalla collettività dei cittadini che l’accetta come mezzo di pagamento, poichè prevede di usarla a sua volta come mezzo di pagamento.
È chiaro che così la Banca centrale lucra indebitamente sia l’interesse sia il valore intercorrente fra il valore facciale (o nominale) delle banconote in circolazione ed il costo tipografico che ha sostenuto per produrle.
Si tratta con ogni evidenza di una struttura iniqua e una prassi che penalizza e affama l’intera società. Ogni emissione produce di per sè un indebitamento e di conseguenza genera la paradossale situazione di deflazione del mezzo di scambio. E’ per questo che i vari esecutivi non riescono mai ad escogitare nessuno stratagemma valido per uscire dalla situazione debitoria endemica.
Il “mercato”dimostra con evidenza le conseguenze: Il pesante affaticamento di tutte le attività produttive e la costante rincorsa della spirale salari-prezzi (scarsi e non remunerativi), che contrappone drammaticamente e spesso con esiti tragici le componenti della compagine sociale (conflittualità sociale indotta).
Viviamo così in una situazione di costante stagflazione, dove la perdita di potere d’acquisto è contestuale alla scarsità monetaria, poichè la moneta emessa è sempre più insufficiente per essere resa alla banca centrale aumentata degli interessi che la banca stessa pretende.
Invano si studiano mezzi per favorire le famiglie e aiutare i giovani. Le stesse forme di pagamento dilatorio concesse per l’acquisizione di beni primari come la casa sono fonte di angoscia per via delle scadenze ineludibili. Si scoraggiano così le attività produttive e si impinguano soltanto gli istituiti di credito.
Questa appropriazione indebita, autorizzata dalle leggi dello Stato con un’operazione che si può, a pieno titolo, definire masochistica, incide su tutte le classi sociali e massimamente sulle più deboli ed indifese, producendo fenomeni esecrabili e tragici di usura e di indigenza ai limiti della sopravvivenza. Lo vediamo ogni giorno di più dalla cronaca che pure mostra solo la punta dell’ iceberg. E’ soprattutto questa situazione disperante che induce al suicidio e alimenta la malavita organizzata e non. (Si sa, la fame è cattiva consigliera)
È straordinario che di questa usura macroscopica nessuno parli. Anche quando si riesce ad intavolare l’argomento con persone che, per titoli accademici o per professione, dovrebbero conoscerlo a fondo, si scopre invariabilmente una incredibile ignoranza oppure una ostilità che non oppone ragioni obiettive nè fatti significativi, oppure infine una reticenza e sufficienza sospette e una neppure troppo mascherata intenzione di depistare o troncare l’argomento. Mai ci è capitato che ad argomenti logici stringenti, si rispondesse con obiezioni costruite logicamente o con fatti assodati e validi a controbattere.
Tuttavia a tutto ciò il rimedio esiste ed è un rimedio che risponde a giustizia e a carità. Si tratta di ristabilire il diritto delle collettività attraverso lo Stato, che può (et ergo, debet) raddrizzare la situazione legiferando in modo da riappropriarsi, in nome e per conto della collettività, della sovranità perduta.
Sussistono, per altro, dei precedenti parziali a questo affrancamento. Lo Stato italiano ad esempio alcuni decenni or sono stampava in proprio, attraverso i Poligrafici dello Stato, la carta moneta nella pezzatura da 500 lire. Esse non recavano l’iscrizione “pagabili a vista al portatore“, e infatti non incrementavano il debito pubblico, ma erano iscritte all’attivo nel bilancio dello Stato. Erano biglietti di Stato.
Anche attualmente le monete da 1 euro e da 2 euro, essendo metalliche e non cartacee, non sono sottoposte al signoraggio della Bce, ma costituiscono un attivo per il bilancio dei vari Stati membri della Comunità Europea soggette all’euro.
Inoltre si sono già avute nel mondo alcune micro economie che, stampando da sè la propria moneta, hanno risolto radicalmente i loro problemi economici. Tale è, per esempio, il caso dell’Isola di Guernsey, la maggiore delle Isole Normanne. Dopo le guerre napoleoniche l’Isola versava in condizioni disperate. Oggi invece è la plaga più prospera del Regno Unito, ad onta delle panie frapposte dalla Banca d’Inghilterra, timorosa che il precedente possa far scuola e sottrarle così quanto lucra dall’attuale situazione di signoraggio.
E’ evidente che, data la mole enorme degli interessi in gioco, occorre una preparazione culturale che informi le collettività affinchè prenda coscienza del giogo che grava sulle spalle di tutti.

[Data pubblicazione: 21/01/2006]

venerdì, gennaio 20, 2006

I padroni di Bankitalia svendono la FIAT agli americani.



da repubblica.it

Le due banche hanno collocato quanto ottenuto in seguito
al finanziamento convertendo del 2002. Capitalia: "Noi non venderemo"
Mps e SanPaolo Imi cedono quota Fiat
titolo in picchiata in Borsa, fino a -6%
In chiusura erano passati di mano oltre 60 milioni di pezzi, pari al 5,5% del capitale
Marchionne: "Non siamo preoccupati per l'uscita delle banche dall'azionariato"

ROMA - Giornata convulsa per la Fiat, in picchiata in Borsa in seguito alla vendita della quota del gruppo automobilistico attuata dal Monte dei Paschi di Siena e da SanPaolo Imi. Al momento della chiusura di Piazza Affari erano passati di mano oltre 60 milioni di titoli Fiat, pari al 5,5% del capitale, e le azioni del Lingotto cedevano il 5,81% a 7,82 euro. Deboli anche i titoli bancari, anche se con perdite molto più contenute (in particolare Mps -0,44% e SanPaolo Imi -0,62%).

Le quote cedute dalle due banche provenivano dalla partecipazione al finanziamento convertendo del 26 luglio 2002. Alla scadenza del finanziamento, nel settembre dell'anno scorso, il consiglio d'amministrazione della Fiat aveva deliberato l'aumento di capitale per 3 miliardi di euro destinati al servizio del convertendo, e pertanto le banche avevano ottenuto titoli dell'azienda in restituzione del finanziamento concesso.

Ieri il Montepaschi ha venduto alle banche d'affari J.P. Morgan Securities e Goldman Sachs International l'intera partecipazione in Fiat, rappresentata da 29,081 milioni di azioni ordinarie, corrispondente al 2,66% del capitale ordinario del Lingotto. Il prezzo unitario è stato di 8,245 euro per un totale di 239,7 milioni di euro.

Analoga decisione è stata comunicata oggi dal gruppo SanPaolo Imi, che ha dato incarico a Banca Imi e Merrill Lynch di collocare sul mercato la quota Fiat derivante dal prestito convertendo, pari a 38,7 milioni di azioni, cioè il 3,55% del capitale ordinario.

L'amministratore delegato del Gruppo Fiat Sergio Marchionne ha espresso disappunto solo per questa seconda vendita, per le modalità con le quali è stata effettuata: "Non siamo preoccupati dall'uscita delle banche dall'azionariato Fiat a seguito del 'convertendo' e avevamo affermato pubblicamente di essere disponibili a collaborare con loro per il collocamento dei titoli sul mercato - ha comunicato Marchionne con una nota - Gli istituti di credito avevano dichiarato che, al momento del disimpegno avrebbero fatto in modo di non creare turbativa nei mercati. Quando vengono effettuate operazioni di questo tipo, è prassi che chi cede le azioni informi preventivamente la società oggetto della vendita. Noi siamo stati avvertiti soltanto da Monte dei Paschi di Siena, che peraltro aveva sempre espresso la volontà di cedere le azioni in suo possesso".

Se nella prima parte della mattinata i titoli Fiat in Borsa avevano registrato perdite contenute, intorno all'1%, l'annuncio di SanPaolo Imi ha scatenato il mercato: a quel punto gli scambi sono stati sempre più intensi, e il titolo ha perso terreno rapidamente, fino ad arrivare al -6% della chiusura.

Non è servita a dare ossigeno al titolo neanche la dichiarazione di Capitalia: il gruppo bancario romano, che detiene un'altra quota Fiat in seguito al convertendo, ha fatto sapere che non intende cedere la propria partecipazione. Mentre l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo si è trincerato dietro un 'no comment'.

Nessun giovamento hanno tratto i titoli del Lingotto neanche dalla comunicazione dell'agenzia internazionale Ficht, che ha annunciato di aver rialzato l'outlook di Fiat Spa da 'negativo' a 'stabile', pur confermando i rating a breve 'B' e quello senior non garantito 'BB'. "Crediamo - ha osservato Emmanuel Bulle, direttore del settore aziende europee dell'agenzia americana - che il punto più basso sia stato raggiunto e che, sia da una prospettiva finanziaria che industriale, il gruppo torinese abbia iniziato un rimbalzo e stia risalendo".

Dalla vendita della quota in Fiat Mps ha realizzato una ripresa di valore di quasi 20 milioni di euro mentre per Sanpaolo Imi il disimpegno dal Lingotto, se il collocamento in corso verrà completato secondo le attese del mercato a un valore intorno agli 8 euro, genererà una plusvalenza nell'ordine degli 80 milioni. Le due operazioni si concludono tuttavia in perdita per le banche, dal momento che il prezzo per la conversione del finanziamento alla Fiat era fissato in 10,28 euro, molto lontano dalle attuali quotazioni.

(20 gennaio 2006)


Ricordiamo che le banche italiane coinvolte nella vicenda sono le socie di maggioranza di Bankitalia S.p.A.

mercoledì, gennaio 04, 2006

Argentini con i contro cojones!




da L'Arena
Mercoledì 4 Gennaio 2006

L’economia dello Stato sudamericano continua ad attrarre investimenti stranieri
L’Argentina cancella il debito
Dopo 50 anni Buenos Aires ha sanato i conti con il Fmi


Buenos Aires. L’Argentina ha voltato pagina. Ieri, dopo mezzo secolo, ha rimborsato fino all’ultimo centesimo di dollaro il Fondo monetario internazionale. In un sol colpo, con una complessa operazione finanziaria scattata giovedì scorso, ha pagato all’organismo circa 9,5 miliardi di dollari. La somma è stata prelevata dalle riserve internazionali della Banca Centrale che hanno superato i 28 miliardi di dollari - il Tesoro l’ha compensata con bond non trasferibili a 10 anni, che rendono gli stessi interessi - e che, secondo quanto ha assicurato il suo presidente Martin Redrado, sarà possibile recuperare già nel corso del 2006.
Le avvisaglie non mancano. Il ministro dell’economia Felisa Miceli ha annunciato l’altro ieri che, nel 2005, il gettito fiscale è aumentato del 21%. In pratica, e come era già successo nel 2004, l’Argentina chiude l’anno con un attivo primario al di sopra del 4% del Pil. A tutto ciò si aggiunge il fatto che il trend dell’aumento del tasso di sviluppo a ritmi cinesi continua. Dopo un accumulato di quasi il 30% negli ultimi tre anni - record storico - i pronostici indicano che, anche quest’anno, il Pil si incrementerà almeno del 7,5%.
Però, come non potrebbe essere altrimenti, visto tale trend, su tanto scenario favorevole si staglia la spada di Damocle dell’inflazione. Il costo della vita nel 2005 supererà infatti il 12%, quasi il doppio del 2004. Le variabili macroeconomiche dall’attivo fiscale a quello della bilancia commerciale (11,7 miliardi di dollari) e, ovviamente, la crescita del Pil, dovrebbero però evitare grossi pericoli.
Con l’aggiunta che questo contesto potrebbe continuare ad attrarre investimenti che, dal 11,8% del Pil del 2002 sono passati al 20,5% attuale: secondo gli specialisti, con altri tre punti in più, il presidente Nestor Kircher, toltosi di mezzo il Fmi, può guardare con ottimismo al futuro, cavalcando le sue ricette, più o meno «keynesiane», contrarie a quelle liberiste dell’organismo.

info collegati:
Il Presidente argentino Kirchner licenzia il vice-governatore della Banca Centrale Argentina

FMI? NO GRAZIE! Mitico NO dell'Argentina

martedì, gennaio 03, 2006

Ci vogliono biglietti di Stato per sostenere l’Euro

da Il Giornale n. 24 del 27-06-2005 pagina 38



Ci vogliono biglietti di Stato per sostenere l’Euro - di Redazione -

Con la Costituzione europea, e con il trattato di Maastricht, la proprietà delle banconote e il relativo signoraggio sono della Bce, mentre quella delle monetine metalliche è degli Stati.

Con le Costituzioni nazionali la proprietà delle banconote e delle monetine dovrebbe essere interamente degli Stati.

Così non è. Ma questo non è il motivo del mio breve intervento, anche se è preliminare.

Il punto che vorrei sottolineare è il seguente: emissione di biglietti di Stato in contemporanea alle banconote della banca centrale di emissione.

Esistono almeno due precedenti storici: 1) in Italia negli anni '30 del XX secolo, con alle spalle la grave depressione economica del '29, lo Stato tenne in piedi l'economia nazionale mediante l'emissione di numerosi biglietti di Stato, con i quali finanziò, senza indebitarsi, numerosissime opere pubbliche e altro; 2) negli Usa nel 1963 il Presidente Jfk, con l'esecutive order 11110, emise circa 4,3 miliardi di dollari come biglietti di Stato e non come banconote della Fed.

I biglietti di Stato hanno il pregio di non indebitare lo Stato e, se emessi in sintonia con la produzione di beni del Paese, anche quello di non provocare inflazione (è molto più rischiosa a questo proposito la riserva frazionaria della tecnica bancaria in vigore).

Ovviamente i biglietti di Stato sono conformi alle Costituzioni nazionali ma non alla Costituzione europea e al trattato di Maastricht. Ma vista la gravissima crisi economica e politica in atto, i responsabili politici europei potrebbero agevolmente superare l'impedimento modificandoli adeguatamente.

I biglietti di Stato potrebbero essere euro, o anche le vecchie monete nazionali, intese come local money.


come questi?