martedì, dicembre 27, 2005

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martedì, dicembre 20, 2005

Fazio a casa ma la scrivania è salva (e Beppe Grillo sogna che è merito suo!)



da Wall Street

BANKITALIA:ADUSBEF,PAGA E EVITA PIGNORAMENTO PER SIGNORAGGIO
19 Dicembre 2005 11:11 ROMA (ANSA)

(ANSA) - ROMA, 19 dic - La Banca d'Italia "ha evitato in extremis, il pignoramento della scrivania del Governatore della Banca d'Italia Fazio, che doveva essere eseguito domattina alle ore 10,00 da un ufficiale giudiziario, per effetto della sentenza emessa dal Giudice di Pace di Lecce il 15 settembre 2005, che aveva condannato Via Nazionale, diramazione della Bce, a rimborsare un socio Adusbef, per l'illecito diritto di signoraggio, quantificato da una perizia tecnica in 5 miliardi di euro, ossia 87 euro per ogni cittadino italiano residente". Lo rende noto l'Adusbef, precisando che Palazzo Koch "ha infatti inviato un vaglia cambiario 276,68 euro (87 euro più le spese), corrispondente all' importo precettato, a favore di Giovanni De Gaetanis, il socio Adusbef che assistito dall'avvocato Antonio Tanza aveva proposto e vinto il ricorso pilota davanti al Tribunale di Lecce, che aveva ha dichiarato,seppur in prima istanza, nullo un diritto feudale di signoreggio (come la carica del Governatore) quantificato in 5 miliardi di euro". La sentenza del tribunale di Lecce è "il primo colpo giudiziario in assoluto al diritto di signoraggio. Il signoraggio è un antico istituto derivante dal sovrano che battendo moneta, ne garantiva il valore nel tempo ed in cambio di quella specifica garanzia feudale (come la carica a vita del Governatore della Banca d'Italia), tratteneva una parte di quell'oro. Oggi - aggiunge l'Adusbef - che neppure le riserve auree garantiscono più la moneta, al punto che è sparita la scritta pagabili al portatore, è rimasto quel diritto feudale di signoraggio i cui proventi vengono incamerati dalla Banca d'Italia, che non appartiene più allo Stato ma a banche private ed altri soggetti che incassano parte di tale introiti". "I cittadini quindi hanno continuato a pagare quella che è diventata una sorta di tassa agli istituti di credito, in violazione dello stesso statuto della Banca d'Italia che all'articolo 3, comma 3 parla chiaro: la banca appartiene allo Stato. Quindi, è stata la conclusione del giudice la sottrazione del reddito da signoraggio in danno alla collettività è di 87 per singolo cittadino residente alla data del 31 dicembre 2003, per un controvalore di 5.023.632.491 euro, che deve essere restituito. Un altro duro colpo ad un Governatore - conclude l'Adusbef - che si continua a comportare come un sovrano, un monarca assoluto, arroccato a difendere con le unghie e con i denti assurdi privilegi, che cadranno tutti sotto i maglio della magistratura, sia civile che penale. Sul sito dell'Adusbef fac-simile ed atto di citazione che ogni cittadino può e deve fare, contro la Banca d'Italia, per la restituzione del maltolto".(ANSA).

The IGB©'s Men: Tutti gli uomini de Il Grasso Bankiere©



Chiedo: in Italia c'è qualcuno NON foraggiato da Banche PRIVATE AMERICANE?



1. Mario Monti - Goldman Sachs
2. Galeazzo Pecori Giraldi - Morgan Stanley
3. Tommaso Padoa-Schioppa
4. Vittorio Grilli
5. Vincenzo Desario
6. Mario Draghi - vicepresidente Goldman Sachs



da effedieffe.com

Mario Monti il puro passa (strapagato) alla Goldman Sachs
Maurizio Blondet
15/12/2005

Mario Monti, ex-commisario europero alla concorrenza, nuovo acquisto della banca d'affari Goldman Sachs

Giorni fa, Gerard Schroeder è stato sepolto da una marea di critiche per aver accettato ora che non è più cancelliere di diventare capo del consiglio dei garanti del gasdotto del Baltico.
Questo gasdotto, che evita di passare attraverso la Polonia (ostile a Mosca) e salda un'alleanza strategica tra Berlino e Mosca, è stato voluto dallo stesso Schroeder in accordo con Putin.
«Conflitto d'interessi!», strillano i grandi media servili ai poteri forti.
Su Il Corriere del 13 dicembre, André Glucksmann strilla «la Gazprom si compra l'Europa!» (1)
e si scatena in un disgustoso attacco contro l'ex Cancelliere.
«Schroeder ha preso la bustarella per i servizi resi a Putin», per dare libero sfogo al dispetto con cui la nota lobby likudista vede l'asse russo-tedesco.
«Politicamente, è una mascalzonata ed è la sola motivazione: scavalcando Polonia, Ucraina, Paesi Baltici, Putin li punisce»: evidentemente la lobby voleva che Putin continuasse a pagare royalty ai suoi nemici.
E sperava in Angela Merkel per cancellare l'oleodotto che libera la Germania dalla dipendenza dal petrolio medio-orientale, ossia dai voleri israelo-americani.
«Ma Putin ha anticipato la firma del contratto, ed ora la Merkel ha le mani legate», sbava Glucksmann (2).


Urla e strepiti per il «conflitto d'interessi» di Schroeder, pesanti allusioni alla sua disonestà.
Frattanto arriva un'altra notizia, accolta con rispettoso silenzio dalla stampa asservita.
Mario Monti, l'uomo-Fiat che è stato commissario europeo alla concorrenza, come Schroeder ha trovato un impiego nel privato.
Se lo è «comprato» la Goldman Sachs - prima banca d'affari della nota lobby - per uno stipendio «che non è stato reso noto», ma che non è sbagliato ritenere miliardario (3).
I giornali britannici ricordano che Mario Monti «è celebrato per la sua dedizione nell'aprire i mercati europei alla competizione» (ossia per i servizi che ha reso alla globalizzazione), per aver «combattuto Francia e Germania» (la «vecchia Europa» odiata da Sharon) e «per aver rifiutato l'offerta del premier Berlusconi che lo voleva ministro delle Finanze nel 2004».
Per contro, è noto che Mario Monti «diventerà ministro nel futuro governo Prodi».


Anche Prodi consulente della Goldman Sachs fino all'altro ieri, ed oggi finanziato dalla banca d'affari per la sua campagna elettorale.
A quel che pare, a pagare Prodi è Linda Costamagna, una privata signora che per caso è moglie di Claudio Costamagna, gran capo della Goldman Sachs per l'Europa.
Varrà la pena di ricordare che la Goldman fu tra le capofila delle banche usurarie che vennero, a bordo del Britannia, lo yacht della regina d'Inghilterra, a imporre i loro metodi per la privatizzazione dei gioielli dell'IRI.
A quell'epoca salì sullo yacht anche Mario Draghi.
E anche lui oggi è alla Goldman Sachs.
I banchieri anglo-israeliti fecero allora grandi affari, e se ne ripromettono ancor più dal prossimo centro-sinistra al governo.
Ecco perché Il Corriere strilla che Schroeder ha un «conflitto d'interessi» per i suoi accordi con Putin, e tace sul conflitto d'interessi enorme, passato e futuro, di Mario Monti alla Goldman Sachs.
E' la legge talmudica in atto: due pesi e due misure.

Maurizio Blondet


Note
1) «Germania svegliati! Il tuo Cancelliere di ieri diventa senza pudore il capo del consiglio di sorveglianza dell'oleodotto Gazprom del Baltico. La nomina scoppia come una bomba nelle teste e apre gli occhi agli increduli. 'Il Cancelliere svenduto in saldo?'.
Enorme farsa! Ma lavoro interessante, del resto defiscalizzato in Svizzera. La reciproca passione di Schröder e Putin assume un nuovo aspetto. Nessuno ignora che, senza tale passione, lo scandaloso contratto non sarebbe stato concluso. Nessuno ignora che, senza Putin, Schröder non prenderebbe il bakchich, la bustarella per i servigi resi. Non si dà niente per niente.
Il nostro compare, onore reso al suo rango passato, controllerà il capo di una filiale della Dresdner Bank, Mathias Warnig, spia della Stasi quando Putin lavorava in Germania per il KGB. Chi si assomiglia si accoppia. Avevo preannunciato l'immenso potere di corruzione della Russia di Putin. Pochi mi credettero. Adesso ci siamo. Ed è solo un inizio. L'affaire ha la sua importanza. Una settimana prima delle elezioni che segnavano la prevedibile fine di Schröeder, Putin si è precipitato a Berlino. Ha anticipato la firma del contratto (8/9/2005) le cui cerimonie erano previste per novembre, cioè dopo le legislative. 'Pacta sunt servanda'.
Le mani di Angela Merkel sono legate. Prima che fosse troppo tardi, il Cancelliere uscente ha venduto la Germania ai voleri del Cremlino, che ormai controlla la sua energia e spera di controllare ancora la sua politica. L'oleodotto sottomarino contraddice la razionalità economica. Costa miliardi di più che se passasse sul suolo, dove si potrebbe con un minimo di spesa raddoppiarne la capacità. Da un punto di vista ambientale, i rischi di incidenti sono importanti. Politicamente, è una mascalzonata ed è la sola motivazione: scavalcando Polonia, Ucraina, Paesi Baltici, Putin li punisce. Ne approfitta per triplicare ex abrupto il prezzo del petrolio consegnato all'Ucraina esangue e raddoppiare quello che esige dalla Georgia.
Il brutto colpo Schröder-Putin oltrepassa le questioni di soldi. Negli otto anni di regno dell'ex Cancelliere, i suoi servizi segreti hanno collaborato con quelli russi (l'FBS) in Cecenia. L'asse Parigi- Berlino-Mosca ha coperto l'abolizione delle libertà ottenute con Gorbaciov e con l'incostante Eltsin. Il ripristino della 'verticale del potere', cioè dell'autocrazia, la confisca dei mass media, la ripresa in mano dell'economia da parte dei prediletti del Cremlino, la carcerazione dell'oligarca recalcitrante Khodorkovski, la messa sotto tutela, addirittura la proibizione de facto delle Organizzazioni non governative internazionali, il soffocamento delle libertà pubbliche, non hanno dato fastidio allo Schröeder Cancelliere, così come i missili SS20 sovietici impiantati in terra tedesca-orientale non avevano turbato il giovane Gerhard pacifista.
A proposito del suo compagno russo, Schröeder non dice forse che 'Putin è un democratico puro'? E Chirac, tanto per rincarare la dose, che 'La Russia è in primo piano tra le democrazie per il dialogo delle culture e il rispetto dell'altro '? Ed ecco Putin mettere i puntini sulle i: 'la disgregazione dell' URSS è la catastrofe peggiore del XX secolo'. Le cose sono chiare. Non c'è ritegno nella corsa al profitto. Quando Chirac non guiderà più i destini della Francia, guiderà quelli di Gazprom-France?
Petrolio iracheno contro cibo, il traffico è stato appetitoso per molti intermediari occidentali. Petrolio russo contro sangue ceceno, contro l'avvenire dell'Ucraina, contro la prosperità della Polonia e dei Paesi Baltici: ecco, in denaro contante, quel che ne ricava un ex Cancelliere socialista»
2) Il gasdotto in questione unisce la cittadina russa di Babayevo alla tedesca Greifswald passando per 1200 chilometri sul fondo del mar Baltico: così evita di passare attraverso la Polonia, l'Ucraina o i Paesi Baltici, la «nuova Europa» alleata all'asse israelo-americano. Ostile a Mosca, la «nuova Europa» voleva però incassarne le royalty di passaggio e le forniture energetiche a prezzi di favore. Putin ha detto all'Ucraina che d'ora in poi, se lo vuole, deve pagarsi il petrolio russo ai prezzi mondiali. Che sono il triplo di quanto l'Ucraina paga attualmente, in base a vecchi accordi con Mosca.
3) Gary Parkinson, «Goldmans hires EU's Super Mario», Independent, 14 dicembre 2005.


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da effedieffe.com

PECORI GIRALDI

Maurizio Blondet
18/10/2005

Il Financial Times, nell'edizione week-end del 16 ottobre (1), così prescrive: «se siete un multimiliardario, non basta avere una barca. Dovete avere un super-yacht; una macchina da corsa di 30metri con computer, alta tecnologia e tutti i gadget elettronici del caso».
Ma avverte con dovizia di particolari che per questo tipo di yachting, dove «la barca» costa 10 milioni di dollari e l'equipaggio e le spese di manutenzione ne costano altri 2 (milioni), «il reddito di un semplice miliardario non basta».
Ad avere quei superpanfili da corsa, che partecipano a tutte le regate internazionali anche se fanno presenza fissa in Costa Smeralda, sono davvero pochi.
Gli invidiatissimi: pensate come soffrirà D'Alema, proprietario di panfilo da regata del costo di soli 900 mila euro, che al confronto è un gommone.
Persino l'Espresso ha dovuto segnalare che il panfilo di D'Alema ha un «arredamento spartano», avendo l'armatore-proprietario preferito spendere quel che si deve nell'albero «in fibra di carbonio».
Quando si è costretti a fare scelte così dolorose, non si è davvero ricchi.

In realtà, la mia attenzione è stata richiamata sui nomi di italiani che compaiono in quell'articolo per pochi sul Financial Times.
Uno è Luca Bassani Antivari, ma non ci scandalizzerà: è il designer di questi super-panfili high-tech, da 30 metri e 20 miliardi di vecchie lire, della classe «Wally».
Ma un altro è il nome di un padrone di uno di questi «Wally», battezzato Tiketitan.
Si tratta di Galeazzo Pecori Giraldi. «the italian investment banker», spiega il Financial Times laconico, come non ci fosse bisogno di altre presentazioni.
Non è un nome, lo ammetterete, che appare spesso nelle cronache economiche.
Uno di quei nomi così rispettati da essere poco citati: altro che Lapo Elkann, altro che Gianni Agnelli.
Come fa Galeazzo Pecori Giraldi a guadagnare tanti soldi, da permettersi uno yacht che costa 3 miliardi l'anno solo per pagare l'equipaggio?
Che cosa fa per avere tanti quattrini da far sentire poveri i miliardari?


D'accordo, Galeazzo è il presidente della Morgan Stanley, superbanca d'affari transnazionale.
Inoltre, è presidente del Credito Fondiario Industriale, della SIB (società di aste immobiliari), della Fonspa (sempre immobiliari) e consigliere della Asso Immobiliare.
Ma una breve ricerca su internet mi rende chiaro che Pecori Giraldi, il Galeazzo, è presente in così tante associazioni e occasioni da tempo libero, da obbligarci a chiedere quando trova il tempo per lavorare onde restare un super-ricco.
Per esempio non manca mai di partecipare alla «Mille miglia storica» di Brescia e ad altre manifestazioni d'auto d'epoca in giro per il mondo, al volante della sua Bugatti - un altro suo costoso hobby, visto che la Bugatti costerà, in manutenzione, un ulteriore pacchetto di miliardi.
Poi è consigliere del Touring Club; del FAI, Fondo Ambiente taliano, che raduna ecologisti di lusso, per lo più proprietari di magioni storiche; e di «Milano per la Scala», associazione di munifici preoccupati delle sorti del cosiddetto «tempio della lirica».
Ma tutte queste associazioni sono, par di intuire, altrettante fonti di spesa più che di introiti.
Il Galeazzo passa pochissimo tempo in ufficio: un giorno è in USA o Giappone con la sua Bugatti, l'indomani in Australia all'asta dei super-yacht Wallis, il giorno dopo a Porto Cervo a farsi fotografare con la ciurma di «Mascalzone Latino» insieme a tutti gli altri «mascalzoni latini».


Galeazzo Pecori Giraldi è l'illustrazione vivente della regola non scritta: i veri ricchi non lavorano mai.
Vi chiedete quante tasse paga?
In Italia, non appare nemmeno nelle liste dei maggiori contribuenti, dove invece ci sono notai ricchissimi (ma non abbastanza da mantenere un Tiketitan) e Berlusconi.
Altra verità non scritta: i veramente ricchi non pagano imposte.
Quasi sempre le loro Bugatti e Tiketitan figurano proprietà di società con sede legale alle Cayman o alle Grenadines, la cittadinanza dei super-ricchi è spesso in USA (25 % d'imposta sul reddito) come certamente accade al presidente della Morgan Stanley, e i loro emolumenti sono in stock options o figurano come «capital gains»: guadagni di rischio, e mica vorrete far pagare le tasse sul rischio.
I veri ricchi non risultano proprietari né di un'utilitaria né di una casa.
Scelgono loro a quale Paese (non) pagare le imposte; sanno come profittare di tutte le regole di elusione fiscale, di tutti i modi di evitare «doppie tassazioni», regole che sono state scritte apposta per loro.


I veramente ricchi non lavorano e non pagano tasse.
Non appaiono nelle cronache mondane, né in quelle economiche.
Nessuno fa pettegolezzi su di loro.
Sono protetti da una loro massoneria che è superiore e più segreta di tutte le altre.
Qualcosa però l'intoccabile Galeazzo ha sborsato.
L'amministratore straordinario Bondi, curatore del fallimento Parmalat, ha fatto sputare alla Morgan Stanley un risarcimento di 155 milioni di euro alla stessa Parmalat.
Bondi s'era fatto la strana idea che le grandi banche, d'affari e no, facendo prestiti a Tanzi e poi rapidamente sbolognando i titoli di credito relativi ai piccoli risparmiatori, «abbiano contribuito alla frode finanziaria» né più nè meno di Tanzi.
Ed ha minacciato di portarle davanti ai giudici.
Beh, la Morgan Stanley ha cacciato senza fiatare 155 milioni di euro.
E in una rara intervista Galeazzo Pecori Giraldi s'è persino rallegrato di quell' «accordo» con Bondi: pur di evitare azioni legali.
Evidentemente, fatti due conti fra una regata e l'altra, avrà calcolato che a mettere di mezzo i tribunali la banca rischiava di pagare tre o dieci volte di più.

Il che ci induce ad azzardare la terza verità non scritta: i veri ricchi non guadagnano mai.
Spendono soltanto.
Ma credete che dopo l'esborso la Morgan Stanley abbia ridotto gli emolumenti al Galeazzo?
Niente di più sbagliato.
Galeazzo è volato in Australia sì per vendere il suo Tiketitan da America's Cup, ma per comprarsi uno yacht più costoso.
Quarta verità: i veri ricchi non pagano mai dazio.
Non pagano tasse, non lavorano, non guadagnano ma solo spendono.
Siamo noi che guadagniamo per loro.
Noi che li facciamo ricchi.
Noi che lavoriamo parecchio, che paghiamo tutte le tasse e in più il mutuo della casa ai banchieri e le rate per l'utilitaria, sempre ai banchieri.
Siamo noi che abbiamo bisogno di guadagnare: per loro, per lorsignori.

Maurizio Blondet

Note
1) Victor Mallet, «The haves and have-yachts», Financial Times, 15-16 ottobre 2005.

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I 5 PAPABILI PER PALAZZO KOCH
da Repubblica.it


Tommaso Padoa-Schioppa, nato a Belluno, 64 anni, ha lavorato alla Banca d'Italia e alla Commissione Europea. E' stato, per un breve periodo, dal 1997 al 1998, anche presidente della Consob. Dal primo giugno 1998 fino al maggio scorso, è stato nel comitato esecutivo e nel consiglio direttivo della Banca centrale europea. In questi anni si è occupato in particolare di relazioni internazionali e vigilanza bancaria


Vittorio Grilli, 49 anni, dopo aver guidato per tre anni la Ragioneria di Stato, è il nuovo direttore generale del Tesoro. Dal'86 al '90 è stato professore di economia a Yale. Importante il suo contributo nell'ambito del comitato per le privatizzazioni e nell'opera di razionalizzazione del debito pubblico


Su Mario Monti grava la perplessità del Polo che lo considera oramai già troppo dentro il gioco politico. "Nei mesi scorsi - si ricorda negli ambienti di governo - gli avevano offerto la presidenza della Bei, la banca di investimenti europei. Ha preferito la Goldman Sachs, evidentemente per non impegnarsi troppo con noi". 61 anni, già commissario europeo alla concorrenza e al mercato interno, fu rettore dell'università Bocconi di Milano


Vincenzo Desario, 72 anni, una carriera in Banca d'Italia, oggi direttore generale. Si occupò alla fine degli anni '60 dei casi bancari più clamorosi tra cui la Banca Unione di Roberto Calvi di cui diventò anche commissario provvisiorio dopo lo scioglimento degli organi amministrativi. Nel '91 fu delegato della Banca d'Italia al Fondo interbancario per la tutela dei depositi. Contribuì all'elaborazione del testo unico in materia bancaria


Mario Draghi, ha retto la direzione generale del ministero del Tesoro per dieci anni dal '91 al 2001. Lasciò l'incarico a Domenico Siniscalco per una cattedra ad Harvard. Laureato a Roma, oggi è vicepresidente della Goldman Sachs, la più importante banca internazionale di investimenti

martedì, dicembre 13, 2005

La caduta degli «dei», alias: il grande botto di capodanno






da Repubblica.it

Una carriera fulminante grazie all'aiuto delle
gerarchie ecclesiastiche e dei piccoli potentati locali
La caduta del banchiere di Fazio
che sognava il grande polo del Nord

di GIUSEPPE TURANI

MILANO - La carriera di Gianpiero Fiorani è finita, ma è stata certamente un'avventura straordinaria. Un'avventura e una carriera che lui stesso, mesi fa, aveva profeticamente riassunto nella battuta: "Non finirò all'inferno, ma farò mille anni di purgatorio". Il purgatorio di Gianpiero Fiorani, fino a poche settimane fa amministratore delegato della Banca Popolare Italiana, super-protetto dal governatore Fazio, si chiamerà probabilmente "consulenze & lavoretti". Difficile, impossibile che entri di nuovo in banca.

Era partito per costruire il quinto gruppo bancario e per fare la guerra ai giganti del credito (tutti un po' invisi al governatore e alla maggioranza di governo), e è finito invece fuori strada nel giro di un paio di mesi.

Nato a Codogno, Bassa lombarda, nel 1959, arriva fino al diploma di ragioniere e si mette a fare, per un po', il cronista in un paio di giornali locali. Come capita spesso in provincia fa la conoscenza con un esponente politico-bancario del luogo, Carlo Cantamessi, che è il numero uno della Popolare di Lodi. È lo stesso Fiorani a raccontare che era a casa e si stava facendo un uovo, quando è arrivato Cantamessi e gli ha detto: "Dai, vieni in banca con me". Risposta. "Fossi matto". Andare a lavorare in banca, allora, nel 1978, non era considerato il massimo per un giovane ambizioso.

Ma Fiorani, chissà perché, accettò. Diventò subito direttore di filiale. E poi si passò agli incarichi speciali. Gli danno da sistemare gli sportelli che la Lodi ha in Sicilia, ma anche l'acquisizione e la sistemazione della Banca Rasini di Milano, l'acquisto della Banca Mercantile di Firenze. E altro ancora. Il giovane Fiorani dimostra subito di essere rapido, efficiente, discreto. Ha molte amicizie nel mondo cattolico, si spende in beneficenza, va in chiesa. Insomma, è perfetto. E infatti lo portano al vertice della Lodi.

Una volta arrivato in cima si dimostra anche diabolico nel muoversi. Le Popolari hanno molti limiti, ma lui li aggira abilmente. Si compra l'Iccri (Istituto centrale delle Casse di Risparmio) e lo trasforma in una holding. Dopo di che va a caccia di Casse di Risparmio: le Fondazioni gli cedono le banche, ma entrano nell'Iccri (che intanto ha cambiato nome in Banca Federale).

Non sempre, a quanto pare, Fiorani segue percorsi rettilinei. Del caso della Popolare di Crema si parla ancora oggi nel mondo bancario. La banca viene scalata da personaggi misteriosi dalla Svizzera, attraverso le solite società-schermo (uno schema che ricorda abbastanza da vicino la scalata, poi fallita, all'Antonveneta). La Consob di Luigi Spaventa indaga e passa le carte alla magistratura: falso in bilancio, false comunicazioni sociali, utilizzo di informazioni riservate. Ma Fiorani se la cava pagando una semplice oblazione. Va meno bene all'ispettore della Consob, che deve andarsene fra mille polemiche.

Anche Giulio Tremonti rimane molto perplesso di fronte alle Fondazioni bancarie che vendono i loro istituti a Fiorani e poi ne diventano soci. La storia della Popolare di Crema, comunque, si conclude con un'Opa lanciata dalla Lodi, alla quale i misteriosi personaggi che dalla Svizzera avevano rastrellato azioni cedono i loro pacchi. Con utili vertiginosi.

Nonostante qualche disavventura, Fiorani continua a fare shopping di banche. E diventa l'amico prediletto del governatore Fazio, che si fa fotografare con lui da una parte e Cesare Geronzi, presidente di Capitalia dall'altra. Onore non da poco, per un piccolo banchiere di provincia e per di più già abbastanza discusso.

Sono i tempi, due anni fa, in cui Tremonti e la Lega chiedono a gran voce le dimissioni di Fazio. Poi il vento cambia di colpo e la Lega si mette improvvisamente a difendere Fazio e a complimentarsi per la sua battaglia a favore dell'italianità delle banche. Dietro questa svolta, c'è naturalmente Fiorani. Che cosa è successo?

I leghisti (con il loro chiodo fisso di essere uno Stato nello Stato) si erano messi in testa di farsi una banca: la Credieuronord. Peccato che la banca sia gestita malissimo. A un certo punto c'è la possibilità che la banca salti per aria, con 3mila soci che vedono svanire i loro risparmi e vari esponenti della Lega sotto processo. Tutto questo viene evitato grazie a Fiorani, che, con la benedizione di Fazio, compra la banca (rifiutata dalla Popolare di Milano, visti i conti) e chiude la partita.

Nel gennaio 2005 parte l'avventura per il controllo dell'Antonveneta contro l'Abn Ambro che la voleva per sé. Sulla carta Fiorani è sicuro di vincere. Da una parte ha il governatore Fazio (con il quale sono diventati amici di famiglia, il figlio e il genero del governatore vanno a fare stage da lui), dall'altra gli amici di sempre a partire da Chicco Gnutti e Giovanni Consorte di Unipol che proprio con l'Antonveneta realizzarono la scalata alla Telecom. In più, le solite società svizzere e i soliti amici misteriosi. La scalata all'Antonveneta, insomma, doveva essere una passeggiata.

Invece è finita il 2 agosto, quando la procura di Milano ha sospeso Fiorani da tutti gli incarichi e lo ha accusato di molti reati finanziari. Poi, nuove perquisizioni. Il 2 ottobre doveva rientrare in banca. Probabilmente, viste anche le nuove accuse, sono stati i suoi stessi legali a consigliargli di farsi da parte.

(17 settembre 2005)


da Repubblica.it

L'ex numero 1 della Bpi preso nella sua casa di Lodi
Con lui in carcere tre stretti collaboratori
Lodi, arrestato Fiorani
il grande amico di Fazio
L'accusa: aggiotaggio e associazione a delinquere
per arrivare al controllo di Antonveneta

MILANO - Arrestato Gianpiero Fiorani. Il provvedimento del giudice di Milano Clementina Forleo, per l'ex numero uno della Bpi ed altre 5 persone, è stato firmato in seguito all'indagine della Procura sugli affari occulti della Banca Popolare Italiana per la scalata ad Antonveneta. La Guardia di finanza ha eseguito l'arresto nell'abitazione del banchiere a Lodi, che a lungo è stato considerato un protetto del governatore di Bankitalia Fazio.

L'operazione è partita ieri sera alle 19. Duecento uomini della Guardia di Finanza sono andati a Lodi, Codogno e Lugano. Hanno perquisito società, uffici di commercialisti e abitazioni. Le accuse per Fiorani sono pesantissime: aggiotaggio (aver diffuso notizie false per alterare il corso dei titoli in Borsa), insider trading (aver utilizzato notizie riservate), truffa, truffa aggravata, appropriazione indebita e associazione per delinquere finalizzata al compimento di questi reati.

Con l'ex patron di Bpi, sono stati arrestati anche l'ex direttore finanziario Gianfranco Boni, considerato il suo braccio destro e l'ex consulente della banca lodigiana Silvano Spinelli, indicato come storico tesoriere occulto e prestanome di Gianpiero Fiorani.

Nell'inchiesta Antonveneta sono stati emessi anche i mandati di arresto per Fabio Massimo Conti e Paolo Marmont, gestori del fondo Victoria Eagle, coinvolto nelle operazioni di Fiorani. Per loro l'accusa è di associazione per delinquere e riciclaggio.

E per Fiorani e Boni si sono aperte le porte del carcere di San Vittore. Le misure chieste dalla procura e firmate nei giorni scorsi dal gip Clementina Forleo, infatti, prevedono la detenzione "più dura" per l'ex ad di Bpi e per il suo ex direttore finanziario. Arresti domiciliari per Silvano Spinelli.

Indagato a piede libero anche Giuseppe Besozzi. L'imprenditore agricolo avrebbe avuto un ruolo di rilievo nella scalata occulta della Lodi ad Antonveneta. Non ci sono altri nomi "eccellenti" nel provvedimento.

"Tra Spinelli, Besozzi e il sottoscritto c'è un sostanziale rapporto di società per cui ci dividevamo gli utili prodotti con le operazioni mobiliari" ha ammesso Fiorani in un interrogatorio nello scorso ottobre spiegando così l'esistenza di una banca nella banca attiva con una cerchia di clienti privati che investivano e guadagnavano in borsa grazie alle informazioni utili procurate dall'istituto.

I magistrati, di fronte ad una schiacciante quantità di prove, ("Stiamo tirando le fila di un lavoro enorme, e del cui contenuto non sapete quasi nulla", diceva giorni fa una fonte della Procura), hanno deciso di contestare il reato di associazione ad un gruppo di indagati, fra cui l'ex presidente e il suo entourage.

Impossibile, per ora, sapere quanti sono in totale quelli finiti nel mirino degli inquirenti, unica cosa certa è che al primo posto dell'elenco c'è proprio Fiorani, a lui i pm Eugenio Fusco e Giulia Perrotti attribuiscono il ruolo di "capo o promotore" dell'impresa.

L'associazione a delinquere - che va ad aggiungersi all'aggiotaggio e all'infedeltà patrimoniale - già contestati agli indagati, fa sì che l'affaire Antonveneta non sia più inquadrabile come isolato episodio di criminalità economica, ma, di fatto, diventa espressione dell'attività di un gruppo di potere occulto che aveva nella ex Banca Popolare di Lodi il suo braccio finanziario.

(13 dicembre 2005)


da Repubblica.it

Giorno per giorno, le tappe di una doppia inchiesta
A Roma è indagato anche il governatore Fazio
Quando Fiorani annunciò
"Abbiamo il 2% di Antonveneta"

ROMA - La battaglia tra la Banca popolare italiana (ex Bpl) e Abn Amro per il controllo di Antonveneta è iniziata il 17 gennaio scorso: quel giorno l'istituto guidato da Gianpiero Fiorani annunciò di aver superato il 2% nel capitale dell'istituto veneto. La Consob chiarirà che la Popolare di Lodi aveva iniziato a rastrellare azioni sin dal novembre precedente, attraverso finanziamenti a società alleate. Ecco le tappe della vicenda, nella ricostruzione dell'agenzia AGI.

2 maggio: la procura di Milano avvia le indagini e apre un fascicolo contro ignoti per aggiotaggio sulla scalata di Bpl all'istituto veneto.

17 maggio: Giampiero Fiorani, Emilio Gnutti e altre 21 persone vengono iscritte nel registro degli indagati dalla procura milanese.

8 giugno: il tribunale di Padova sospende il Cda di Antonveneta

12 luglio: il nome di Fiorani appare anche nel registro degli indagati della procura romana

15 luglio: anche Francesco Frasca, rersponsabile della vigilanza di Bankitalia, finisce nel registro degli indagati a Roma.

25 luglio: i pm milanesi, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, titolari del fronte milanese dell'inchiesta, sequestrano tutti i titoli dell'istituto padovano detenuti da Bpi, e dagli alleati Emilio Gnutti, Stefano Ricucci, i fratelli Lonati e Danilo Coppola.

Dal decreto che dispone il sequestro delle azioni emergono alcune intercettazioni di una telefonata tra il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, e l'Ad di Bpl Fiorani.

2 agosto: il gip Clementina Forleo convalida il sequestro delle azioni in portafoglio ai concertisti. La Forleo notifica anche la misura interdittiva nei confronti di Fiorani e del direttore centrale finanza, Gianfranco Boni

16 settembre: Fiorani si dimette dalla carica di Ad di Bpl. La decisione arriva dopo una nuova ipotesi di reato a suo carico. Oltre che di aggiotaggio insider trading e ostacolo all'attività di vigilanza della Consob, il banchiere di Codogno adesso deve rispondere anche di un altro reato. Si tratta dell'articolo 495 del codice penale: "Falsa dichiarazione a pubblico ufficiale". L'accusa lascia intravedere l'ipotesi di un arricchimento personale attraverso finanziamenti della sua stessa banca, con il coinvolgimento di alcuni prestanome.

29 settembre: si apprende che il governatore della Banca d'Italia è indagato sin dai primi giorni di agosto, dalla procura di Roma, per abuso d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta su Antonveneta. Insieme al governatore, era indagato, sempre per abuso d'ufficio, anche il responsabile dell'area vigilanza di Palazzo Koch, Francesco Frasca. Per la vicenda dell'Opa sulla banca padovana è indagato dalla procura di Roma anche Fiorani per i reati di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all'autorità di vigilanza. Indagato anche Giovanni Benevento, ex presidente della Popolare italiana.

10 ottobre: il governatore Fazio viene interrogato dalla procura di Roma

12 ottobre: c'è un nuovo indagato nell'inchiesta sulla scalata all'istituto veneto: si tratta di Silvano Spinelli, uomo di fiducia di Fiorani e, secondo gli inquirenti, prestanome del banchiere

6 dicembre: indagato l'intero Cda di Banca popolare italiana, i componenti del comitato esecutivo e i sindaci: ma non per la scalata ad Antonveneta, bensì per aggiotaggio sui titoli dell'istituto di credito lodigiano. E' questo lo sviluppo del nuovo filone di indagine aperto circa un mese fa dai pm milanesi. Sotto inchiesta finiscono il presidente Giovanni Benevento, il vice presidente Desiderio Zoncada, l'Ad Giorgio Olmo e i consiglieri Francesco Ferrari, Domenico Lanzoni e Domenico Zucchetti

7 dicembre: il presidente e amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, è indagato dalla procura di Milano, insieme al vice presidente della compagnia assicurativa, Ivano Sacchetti, per concorso in aggiotaggio. Secondo i pm milanesi, Consorte, così come il suo vice, avrebbero preso parte al rastrellamento concertato di titoli da parte della cordata della ex Bpl

13 dicembre: è il giorno dell'arresto per Fiorani, Spinelli, e Boni, ex direttore finanziario. Per l'ex ad spunta anche un altro reato, quello di associazione per delinquere. E un altro nome si aggiunge nella lista dei pm, quello di Ignazio Bellavista Caltagirone, titolare della Maryland Group, indagato per concorso in aggiotaggio, sospettato di aver fatto parte del concerto guidato dall'istituto di Fiorani

Con questo diventano tre i filoni dell'inchiesta seguita dalla procura di Milano sulla scalata da parte della Bpl alla Antonveneta. L'associazione per delinquere si aggiunge all'aggiotaggio (che riguarda la diffusione di notizie che avrebbero provocato l'alterazione del prezzo delle azioni Antonveneta) e all'appropriazione indebita (secondo i magistrati, gli indagati avrebbero favorito i guadagni in Borsa di un gruppo di correntisti, che a loro volta avrebbero restituito in nero parte dei guadagni ai vertici della Banca popolare italiana). Sempre di oggi la notizia che tra gli indagati dalla procura di Milano finisce anche l'europarlamentare dell'Udc e imprenditore, Vito Bonsignore.

Si allungano invece i tempi per la conclusione dell'inchiesta avviata a Roma, nella quale è indagato il governatore Fazio. I risultati delle consulenze tecniche e dei documenti, richiesti dai pm Perla Lori e Achille Toro, non arriveranno prima del 2006.

(13 dicembre 2005)


altri rif: Tana per Fazio dietro a Fiorani !!!