ricordate: «Beato chi ci crede» ??
INSISTONO!
da: http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_10581422.html
2008-01-27 17:51
SOCIETE' GENERALE: FRODE POTREBBE ESSERE DI 50 MLD, PERDITE DI 4,9
La frode alla Societé Generale ammonta a 50 miliardi di euro ma le perdite restano più limitate e confermate ad un decimo della cifra (4,9 miliardi di euro), grazie agli interventi immediati della banca sulle operazioni non lecite. E' quanto comunica la stessa banca francese in una nota.
Intanto sono state decise altre 24 ore di fermo per Jerome Kerviel, il trader accusato da Societé Generale.
Kerviel era stato fermato ieri alle 13 per essere interrogato e probabilmente potrebbe essere nuovamente sentito dagli inquirenti per verificare se a suo carico ci siano indizi gravi che configurino una violazione penalmente sanzionabile.
Gli inquirenti stanno cercando di capire come abbia trovato protezioni per le sue azioni all'interno della banca, se abbia agito da solo e soprattutto le motivazioni delle sue azioni.
Laconiche le informazioni sull'interrogatorio fornite alla stampa degli inquirenti: "Sta collaborando ed è pronto a spiegare che cosa è successo".
Al termine di questi ulteriori interrogatori, gli inquirenti dovranno decidere se intentare un vero e proprio procedimento nei confronti del trader o rilasciarlo per mancanza di indizi sufficienti.
Lo come?!? Forse è pure innocente? Già è grave che ci sia stato un simile furto.. in più neanche sanno chi sia stato??!?!
domenica, gennaio 27, 2008
Scandali, affari e misteri tutti i segreti dello Ior
L'Istituto Opere Religiose è la banca del Vaticano. In deposito 5 miliardi di euro
Ai correntisti offre rendimenti record, impermeabilità ai controlli e segretezza totale
Scandali, affari e misteri
tutti i segreti dello Ior
di CURZIO MALTESE
LA CHIESA cattolica è l'unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, "sterco del diavolo". Vangelo secondo Matteo: "E' più facile che un cammello passi nella cruna dell'ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma è anche l'unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l'Istituto Opere Religiose.
La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all'interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l'importanza. All'interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell'ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia "qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l'istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d'assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d'oro. Nessuna traccia.
Da vent'anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l'avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall'America al portone di casa.
Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull'improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò a letto l'ultima notte.
Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l'uomo che aveva salvato Paolo VI dall'attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l'Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.
Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un'intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell'Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d'arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l'extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche "una vittima", anzi "un'ingenua vittima".
Dal 1989, con l'arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato all'interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto".
A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l'oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, "più vicino al cielo". I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: "Un'aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest'ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi".
La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l'ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent'anni. Da Tangentopoli alle stragi del '93 alla scalata dei "furbetti" e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l'ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.
L'autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...". Il fatto è che una parte considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell'inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. "Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia - col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all'Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d'urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!". La risposta sarà di poche ma definitive righe: "Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale".
I magistrati del pool valutano l'ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto "ente fondante della Città del Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l'effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull'opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro".
Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell'Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano". "Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione". Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con un'ipotesi. "Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma". Mannoia non è uno qualsiasi.
E' secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell'Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell'Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: "Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?".
Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei "furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell'anno scorso il capo dei "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: "Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro". Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l'elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: "I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M'ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero".
Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell'incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: "Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male".
Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all'ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l'appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell'ex governatore con Maria Cristina Rosati.
Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell'Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E' difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.
Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell'azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport" su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l'ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).
Con l'immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l'ultima puntata dell'inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L'epoca Marcinkus è archiviata ma l'opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano è di gran lunga lo "stato più ricco del mondo", come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell'unica inchiesta di un'autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni.
Nessuna autorità italiana ha mai avviato un'inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello Ior, la "finanza bianca" ha conquistato posizioni su posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell'Opus Dei. In un'Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
(26 gennaio 2008)
da: http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/chiesa-commento-mauro/segreti-ior/segreti-ior.html
Ai correntisti offre rendimenti record, impermeabilità ai controlli e segretezza totale
Scandali, affari e misteri
tutti i segreti dello Ior
di CURZIO MALTESE
LA CHIESA cattolica è l'unica religione a disporre di una dottrina sociale, fondata sulla lotta alla povertà e la demonizzazione del danaro, "sterco del diavolo". Vangelo secondo Matteo: "E' più facile che un cammello passi nella cruna dell'ago, che un ricco entri nel regno dei cieli". Ma è anche l'unica religione ad avere una propria banca per maneggiare affari e investimenti, l'Istituto Opere Religiose.
La sede dello Ior è uno scrigno di pietra all'interno delle mura vaticane. Una suggestiva torre del Quattrocento, fatta costruire da Niccolò V, con mura spesse nove metri alla base. Si entra attraverso una porta discreta, senza una scritta, una sigla o un simbolo. Soltanto il presidio delle guardie svizzere notte e giorno ne segnala l'importanza. All'interno si trovano una grande sala di computer, un solo sportello e un unico bancomat. Attraverso questa cruna dell'ago passano immense e spesso oscure fortune. Le stime più prudenti calcolano 5 miliardi di euro di depositi. La banca vaticana offre ai correntisti, fra i quali come ha ammesso una volta il presidente Angelo Caloia "qualcuno ha avuto problemi con la giustizia", rendimenti superiori ai migliori hedge fund e un vantaggio inestimabile: la totale segretezza. Più impermeabile ai controlli delle isole Cayman, più riservato delle banche svizzere, l'istituto vaticano è un vero paradiso (fiscale) in terra. Un libretto d'assegni con la sigla Ior non esiste. Tutti i depositi e i passaggi di danaro avvengono con bonifici, in contanti o in lingotti d'oro. Nessuna traccia.
Da vent'anni, quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior è un buco nero in cui nessuno osa guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l'allora ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l'avvocato Giorgio Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall'America al portone di casa.
Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior. Sull'improvvisa fine di Giovanni Paolo I si sono alimentate macabre dicerie, aiutate dalla reticenza vaticana. Non vi sarà autopsia per accertare il presunto e fulminante infarto e non sarà mai trovato il taccuino con gli appunti sullo Ior che secondo molti testimoni il papa portò a letto l'ultima notte.
Era lo Ior di Paul Marcinkus, il figlio di un lavavetri lituano, nato a Cicero (Chicago) a due strade dal quartier generale di Al Capone, protagonista di una delle più clamorose quanto inspiegabili carriere nella storia recente della chiesa. Alto e atletico, buon giocatore di baseball e golf, era stato l'uomo che aveva salvato Paolo VI dall'attentato nelle Filippine. Ma forse non basta a spiegare la simpatia di un intellettuale come Montini, autore della più avanzata enciclica della storia, la Populorum Progressio, per questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l'Avana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2.
Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un'intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell'Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc. Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d'arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana, sbandiera i passaporti esteri e l'extraterritorialità. Ci vorranno altri dieci anni a Woytjla per decidersi a rimuovere uno dei principali responsabili del crac Ambrosiano dalla presidenza dello Ior. Ma senza mai spendere una parola di condanna e neppure di velata critica: Marcinkus era e rimane per le gerarchie cattoliche "una vittima", anzi "un'ingenua vittima".
Dal 1989, con l'arrivo alla presidenza di Angelo Caloia, un galantuomo della finanza bianca, amico e collaboratore di Gianni Bazoli, molte cose dentro lo Ior cambiano. Altre no. Il ruolo di bonificatore dello Ior affidato al laico Caloia è molto vantato dalle gerarchie vaticane all'esterno quanto ostacolato all'interno, soprattutto nei primi anni. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, Finanza bianca (Mondadori, 2003). "Il vero dominus dello Ior - scrive Galli - rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto".
A volte monsignor De Bonis accompagnava di persona i correntisti con i contanti o l'oro nel caveau, attraverso una scala, in cima alla torre, "più vicino al cielo". I contrasti fra il presidente Caloia e De Bonis, in teoria sottoposto, saranno frequenti e duri. Commenta Giancarlo Galli: "Un'aurea legge manageriale vuole che, in caso di conflitto fra un superiore e un inferiore, sia quest'ultimo a soccombere. Ma essendo lo Ior istituzione particolarissima, quando un laico entra in rotta di collisione con una tonaca non è più questione di gradi".
La glasnost finanziaria di Caloia procede in ogni caso a ritmi serrati, ma non impedisce che l'ombra dello Ior venga evocata in quasi tutti gli scandali degli ultimi vent'anni. Da Tangentopoli alle stragi del '93 alla scalata dei "furbetti" e perfino a Calciopoli. Ma come appare, così l'ombra si dilegua. Nessuno sa o vuole guardare oltre le mura impenetrabili della banca vaticana.
L'autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono dei problemi, riguardanti lo Ior, i contatti con Enimont...". Il fatto è che una parte considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell'inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Dopo la telefonata di Borrelli, il presidente Caloia si precipita a consulto in Vaticano da monsignor Renato Dardozzi, fiduciario del segretario di Stato Agostino Casaroli. "Monsignor Dardozzi - racconterà a Galli lo stesso Caloia - col suo fiorito linguaggio disse che ero nella merda e, per farmelo capire, ordinò una brandina da sistemare in Vaticano. Mi opposi, rispondendogli che avrei continuato ad alloggiare all'Hassler. Tuttavia accettai il suggerimento di consultare d'urgenza dei luminari di diritto. Una risposta a Borrelli bisognava pur darla!". La risposta sarà di poche ma definitive righe: "Ogni eventuale testimonianza è sottoposta a una richiesta di rogatoria internazionale".
I magistrati del pool valutano l'ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto "ente fondante della Città del Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso l'effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull'opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro".
Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell'Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano". "Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione". Fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano. Da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Non può non sapere dove finiscono i capitali mafiosi. Quindi va oltre, con un'ipotesi. "Quando il Papa (Giovanni Paolo II, ndr) venne in Sicilia e scomunicò i mafiosi, i boss si risentirono soprattutto perché portavano i loro soldi in Vaticano. Da qui nacque la decisione di far esplodere due bombe davanti a due chiese di Roma". Mannoia non è uno qualsiasi.
E' secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell'Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell'Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: "Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?".
Sulle trame dello Ior cala un altro sipario di dieci anni, fino alla scalata dei "furbetti del quartierino". Il 10 luglio dell'anno scorso il capo dei "furbetti", Giampiero Fiorani, racconta in carcere ai magistrati: "Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che saranno, non esagero, due o tre miliardi di euro". Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l'elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: "I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell'Apsa, l'amministrazione del patrimonio immobiliare della chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M'ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero".
Altri seguiranno, molti a giudicare dalle lamentele dello stesso Fiorani nell'incontro con il cardinale Giovanni Battista Re, potente prefetto della congregazione dei vescovi e braccio destro di Ruini: "Uno che vi ha sempre dato i soldi, come io ve li ho sempre dati in contanti, e andava tutto bene, ma poi quando è in disgrazia non fate neanche una telefonata a sua moglie per sapere se sta bene o male".
Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all'ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l'appoggio vaticano. In prima persona di Camillo Ruini, presidente della Cei, e poi di Giovanni Battista Re, amico intimo di Fazio, tanto da aver celebrato nel 2003 la messa per il venticinquesimo anniversario di matrimonio dell'ex governatore con Maria Cristina Rosati.
Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell'Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. E' difficile per esempio spiegare con esigenze pastorali la decisione del Vaticano di scorporare le Isole Cayman dalla naturale diocesi giamaicana di Kingston, per proclamarle "missio sui iuris" alle dirette dipendenze della Santa Sede e affidarle al cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio dello Ior.
Il quarto e ultimo episodio di coinvolgimento dello Ior negli scandali italiani è quasi comico rispetto ai precedenti e riguarda Calciopoli. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell'azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. Difeso dalla stampa cattolica sempre, accolto nei pellegrinaggi a Lourdes dalla corte di Ruini, Moggi è da poco diventato titolare di una rubrica di "etica e sport" su Petrus, il quotidiano on-line vicino a papa Benedetto XVI, da dove l'ex dirigente juventino rinviato a giudizio ha subito cominciato a scagliare le prime pietre contro la corruzione (altrui).
Con l'immagine di Luciano Moggi maestro di morale cattolica si chiude l'ultima puntata dell'inchiesta sui soldi della Chiesa. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno. L'epoca Marcinkus è archiviata ma l'opacità che circonda la banca della Santa Sede è ben lontana dallo sciogliersi in acque trasparenti. Si sa soltanto che le casse e il caveau dello Ior non sono mai state tanto pingui e i depositi continuano ad affluire, incoraggiati da interessi del 12 per cento annuo e perfino superiori. Fornire cifre precise è, come detto, impossibile. Le poche accertate sono queste. Con oltre 407 mila dollari di prodotto interno lordo pro capite, la Città del Vaticano è di gran lunga lo "stato più ricco del mondo", come si leggeva nella bella inchiesta di Marina Marinetti su Panorama Economy. Secondo le stime della Fed del 2002, frutto dell'unica inchiesta di un'autorità internazionale sulla finanza vaticana e riferita soltanto agli interessi su suolo americano, la chiesa cattolica possedeva negli Stati Uniti 298 milioni di dollari in titoli, 195 milioni in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine, più joint venture con partner Usa per 273 milioni.
Nessuna autorità italiana ha mai avviato un'inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane, la finanza. Dal tramonto di Enrico Cuccia, il vecchio azionista gran nemico di Sindona, di Calvi e dello Ior, la "finanza bianca" ha conquistato posizioni su posizioni. La definizione è certo generica e comprende personaggi assai distanti tra loro. Ma tutti in relazione stretta con le gerarchie ecclesiastiche, con le associazioni cattoliche e con la prelatura dell'Opus Dei. In un'Italia dove la politica conta ormai meno della finanza, la chiesa cattolica ha più potere e influenza sulle banche di quanta ne avesse ai tempi della Democrazia Cristiana.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
(26 gennaio 2008)
da: http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/chiesa-commento-mauro/segreti-ior/segreti-ior.html
venerdì, gennaio 25, 2008
Beato chi ci crede.
da: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/economia/societe-generale/societe-generale/societe-generale.html
Il colossale buco è stato scoperto domenica e oggi se ne è avuta notizia
Per coprirlo la banca ha varato un aumento di capitale da 5,5 miliardi
Truffa ai danni della Société Générale
Un trader sottrae 4,9 miliardi di euro
Non è stato diffuso il nome dell'uomo, che è stato licenziato ed è irreperibile
PARIGI - Una frode da 4,9 miliardi di euro è stata compiuta ai danni della Société Générale, la seconda banca francese per capitalizzazione di mercato. La scoperta è avvenuta domenica, ma la notizia è stata rivelata solo oggi. L'autore della colossale truffa, che non ha precedenti nella storia della finanza, assicura il quotidiano francese Le Monde, è un uomo solo, un dipendente della Société Générale, che ha potuto agire indisturbato per mesi grazie alle sue eccellenti conoscenze tecnico-informatiche. Société Générale ha fatto sapere di aver già licenziato il trader e che ha intenzione di denunciarlo, ma l'uomo nel frattempo ha "fatto perdere le sue tracce".
La banca non ha reso noto il nome del responsabile della truffa, tuttavia l'agenzia Reuters, citando "tre fonti della società", afferma che si tratta di Jerome Kerviel, un uomo di circa 30 anni, che lavorava per l'istituto di credito dal 2002.
La Banca di Francia ha annunciato di aver aperto un'inchiesta per esaminare "le condizioni nelle quali è accaduta la frode". Per coprire il 'buco' da 4,9 miliardi Société Générale ha annunciato un aumento di capitale da cinque miliardi e mezzo di euro. Morgan Stanley e JP Morgan hanno assunto l'incarico di trovare a questo scopo investitori istituzionali.
I profitti del 2007 saranno comunque decurtati, lo sarebbero comunque stati per via di 2,05 miliardi di euro in svalutazioni legate al segmento del subprime. Pertanto, la banca nel 2007 registrerà utili tra i 600 e gli 800 milioni di euro e distribuirà un dividendo del 45%.
In una nota, la banca ha spiegato che il presidente Daniel Bouton, dando ieri al consiglio di amministrazione la notizia della maxitruffa, ha anche presentato le proprie dimissioni, che sono state respinte. "Veniamo dai cinque giorni più difficili della nostra vita", ha dichiarato Bouton.
La truffa della quale è stata vittima la Société Générale ricorda quella da 1,5 miliardi di dollari di Nick Leeson, che nel 1995 mise in ginocchio la Barings, la banca della Regina Elisabetta, costringendola al fallimento (la banca fu poi venduta al prezzo simbolico di una sterlina all'olandese Ing).
(24 gennaio 2008)
Ma come? Gli rubano 5 miliardi di euro, ne perdevano già 2 per i subprime e ancora ne hanno da distribuire 0,6 - 0,8 miliardi di euro?? miliardi aò! mica milioni!
Non si sa il nome e pubblicano la foto?
E quel Daniel Bouton che vuole defilare?
bah!
Il colossale buco è stato scoperto domenica e oggi se ne è avuta notizia
Per coprirlo la banca ha varato un aumento di capitale da 5,5 miliardi
Truffa ai danni della Société Générale
Un trader sottrae 4,9 miliardi di euro
Non è stato diffuso il nome dell'uomo, che è stato licenziato ed è irreperibile
PARIGI - Una frode da 4,9 miliardi di euro è stata compiuta ai danni della Société Générale, la seconda banca francese per capitalizzazione di mercato. La scoperta è avvenuta domenica, ma la notizia è stata rivelata solo oggi. L'autore della colossale truffa, che non ha precedenti nella storia della finanza, assicura il quotidiano francese Le Monde, è un uomo solo, un dipendente della Société Générale, che ha potuto agire indisturbato per mesi grazie alle sue eccellenti conoscenze tecnico-informatiche. Société Générale ha fatto sapere di aver già licenziato il trader e che ha intenzione di denunciarlo, ma l'uomo nel frattempo ha "fatto perdere le sue tracce".
La banca non ha reso noto il nome del responsabile della truffa, tuttavia l'agenzia Reuters, citando "tre fonti della società", afferma che si tratta di Jerome Kerviel, un uomo di circa 30 anni, che lavorava per l'istituto di credito dal 2002.
La Banca di Francia ha annunciato di aver aperto un'inchiesta per esaminare "le condizioni nelle quali è accaduta la frode". Per coprire il 'buco' da 4,9 miliardi Société Générale ha annunciato un aumento di capitale da cinque miliardi e mezzo di euro. Morgan Stanley e JP Morgan hanno assunto l'incarico di trovare a questo scopo investitori istituzionali.
I profitti del 2007 saranno comunque decurtati, lo sarebbero comunque stati per via di 2,05 miliardi di euro in svalutazioni legate al segmento del subprime. Pertanto, la banca nel 2007 registrerà utili tra i 600 e gli 800 milioni di euro e distribuirà un dividendo del 45%.
In una nota, la banca ha spiegato che il presidente Daniel Bouton, dando ieri al consiglio di amministrazione la notizia della maxitruffa, ha anche presentato le proprie dimissioni, che sono state respinte. "Veniamo dai cinque giorni più difficili della nostra vita", ha dichiarato Bouton.
La truffa della quale è stata vittima la Société Générale ricorda quella da 1,5 miliardi di dollari di Nick Leeson, che nel 1995 mise in ginocchio la Barings, la banca della Regina Elisabetta, costringendola al fallimento (la banca fu poi venduta al prezzo simbolico di una sterlina all'olandese Ing).
(24 gennaio 2008)
Ma come? Gli rubano 5 miliardi di euro, ne perdevano già 2 per i subprime e ancora ne hanno da distribuire 0,6 - 0,8 miliardi di euro?? miliardi aò! mica milioni!
Non si sa il nome e pubblicano la foto?
E quel Daniel Bouton che vuole defilare?
bah!
martedì, gennaio 15, 2008
Sempre più giù..
2008-01-15 17:07
Subprime: da Bce e Fed 40 mld dlr
Due diverse aste Taf per fronteggiare la crisi
(ANSA) -ROMA,15 GEN- La Bce ha iniettato liquidita' per un controvalore di 10 miliardi di dlr per fronteggiare la crisi subprime. La Fed ne ha collocati 30 miliardi.
L'operazione straordinaria della Bce, denominata Term Auction Facility (Taf), e' al tasso fisso del 3,95% e della durata di 28 giorni. Le adesioni sono state 22 per un totale richiesto di 14,79 miliardi di dollari.
La Federal Reserve ha usufruito di una diversa asta Taf, cui hanno aderito 56 istituti per un totale richiesto di 55,53 miliardi di dollari.
da: http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/economia/news/2008-01-15_115149043.html
Subprime: da Bce e Fed 40 mld dlr
Due diverse aste Taf per fronteggiare la crisi
(ANSA) -ROMA,15 GEN- La Bce ha iniettato liquidita' per un controvalore di 10 miliardi di dlr per fronteggiare la crisi subprime. La Fed ne ha collocati 30 miliardi.
L'operazione straordinaria della Bce, denominata Term Auction Facility (Taf), e' al tasso fisso del 3,95% e della durata di 28 giorni. Le adesioni sono state 22 per un totale richiesto di 14,79 miliardi di dollari.
La Federal Reserve ha usufruito di una diversa asta Taf, cui hanno aderito 56 istituti per un totale richiesto di 55,53 miliardi di dollari.
da: http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/economia/news/2008-01-15_115149043.html
sabato, gennaio 12, 2008
L'onorabilità del debito..
da: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/bari-banca/bari-banca/bari-banca.html
Non voleva saldare i lavori di ristrutturazione della villa in campagna
L'imprenditore edile picchiato e minacciato, ma l'aggressione è stata filmata
Assolda boss per non pagare
arrestato direttore di banca a Molfetta
BARI - Non voleva pagare gli 88mila euro per la ristrutturazione della villa in campagna, così un direttore di banca di Molfetta ha deciso di ingaggiare un "boss" di Cerignola, in provincia di Foggia, perché convincesse l'imprenditore che aveva seguito i lavori ad accontentarsi di 15mila euro. Il direttore di banca è stato arrestato questa mattina, insieme ad altre quattro persone accusate di aggressione aggravata in concorso e lesioni ai danni di un costruttore del luogo.
Il capoclan che aveva avuto l'incarico su promessa di un compenso di 5mila euro - Giuseppe Caputo, di 54 anni - telefonò alla vittima, consigliandole di accettare la somma proposta per continuare a vivere senza problemi. L'imprenditore rifiutò e dopo due giorni venne accoltellato e picchiato a sangue dal boss e da altri suoi due uomini in un'area di servizio. Dopo l'aggressione il costruttore, senza aver ricevuto alcun pagamento, è stato costretto a consegnare ai picchiatori una falsa dichiarazione attestante di aver percepito 25mila euro dal committente dei lavori e di non aver nulla in più da pretendere.
I cinque sono stati arrestati questa mattina dai carabinieri di Molfetta, che avevano iniziato le indagini dopo il referto medico dell'ospedale dove l'imprenditore era stato curato per le lesioni. Il pestaggio è stato filmato dalle telecamere di sorveglianza dell'area di servizio, così gli investigatori hanno ricostruito tutto e identificato i personaggi coinvolti, eseguendo questa mattina le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Trani, Roberto del Castillo, su richiesta del sostituto procuratore Ettore Cardinali. Gli arrestati sono stati portati al carcere di Trani, mentre al direttore di banca, sono stati concessi gli arresti domiciliari.
(12 gennaio 2008)
Non voleva saldare i lavori di ristrutturazione della villa in campagna
L'imprenditore edile picchiato e minacciato, ma l'aggressione è stata filmata
Assolda boss per non pagare
arrestato direttore di banca a Molfetta
BARI - Non voleva pagare gli 88mila euro per la ristrutturazione della villa in campagna, così un direttore di banca di Molfetta ha deciso di ingaggiare un "boss" di Cerignola, in provincia di Foggia, perché convincesse l'imprenditore che aveva seguito i lavori ad accontentarsi di 15mila euro. Il direttore di banca è stato arrestato questa mattina, insieme ad altre quattro persone accusate di aggressione aggravata in concorso e lesioni ai danni di un costruttore del luogo.
Il capoclan che aveva avuto l'incarico su promessa di un compenso di 5mila euro - Giuseppe Caputo, di 54 anni - telefonò alla vittima, consigliandole di accettare la somma proposta per continuare a vivere senza problemi. L'imprenditore rifiutò e dopo due giorni venne accoltellato e picchiato a sangue dal boss e da altri suoi due uomini in un'area di servizio. Dopo l'aggressione il costruttore, senza aver ricevuto alcun pagamento, è stato costretto a consegnare ai picchiatori una falsa dichiarazione attestante di aver percepito 25mila euro dal committente dei lavori e di non aver nulla in più da pretendere.
I cinque sono stati arrestati questa mattina dai carabinieri di Molfetta, che avevano iniziato le indagini dopo il referto medico dell'ospedale dove l'imprenditore era stato curato per le lesioni. Il pestaggio è stato filmato dalle telecamere di sorveglianza dell'area di servizio, così gli investigatori hanno ricostruito tutto e identificato i personaggi coinvolti, eseguendo questa mattina le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Trani, Roberto del Castillo, su richiesta del sostituto procuratore Ettore Cardinali. Gli arrestati sono stati portati al carcere di Trani, mentre al direttore di banca, sono stati concessi gli arresti domiciliari.
(12 gennaio 2008)
venerdì, gennaio 11, 2008
Ancora dubbi su chi comanda il mondo? I portavassoi promossi da IGB
ILSOLE24ORE.COM
Pensionati d'oro, le brillanti carriere degli ex politici
Tra le carriere d'oro dei politici in pensione il caso che ha fatto più discutere è stato certamente il suo. Gerhard Schröder, l'uomo che ha guidato la Germania dal 1998 al 2005, ha concluso il suo secondo mandato da cancelliere con la sigla di un accordo, da lui ritenuto fondamentale: quello per la realizzazione del gasdotto sottomarino Nord Stream, che avrebbe trasportato il gas russo direttamente in Germania senza la transazione di Paesi terzi.
Appena dismesse le vesti di leader di Governo, Schröder ha accettato la nomina da parte di Gazprom a presidente proprio della società operatrice Nord Stream AG, sollevando polemiche su un possibile conflitto di interessi. Le critiche sono arrivate dalle fila dell'opposizione, ma anche dai Paesi attraverso i quali passa solitamente il gas russo, e tagliente fu l'editoriale del Washington Post, intitolato «Il tradimento di Schroeder», che poneva degli interrogativi sull'eticità dell'utilizzo delle conoscenze internazionali del Cancelliere a favore della sua nuova causa.
Molto più recente è invece la nomina da parte di Morgan Stanley del professore universitario ex direttore del Tesoro ed ex ministro dell'Economia nel secondo Governo Berlusconi, Domenico Siniscalco, diventato ufficialmente Chief Executive della divisione italiana del colosso bancario americano il primo dicembre del 2007. Tra le personalità dell'esecutivo berlusconiano anche Gianni Letta ha cambiato vita. L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato nominato advisor di Goldman Sachs nel giugno del 2007.
Per quanto riguarda i rapporti con i grandi istituti bancari i colleghi spagnoli non sono comunque da meno: è del dicembre scorso la notizia che Rodrigo de Rato, ex ministro delle Finanze ed ex vicepresidente del Governo di Madrid con Aznar, poi direttore esecutivo dell'Fmi, è stato ingaggiato da Lazard come senior managing director. E che dire infine delle parcelle di Clinton, Bill, pagato a peso d'oro solo per tenere un discorso di fronte ai pubblici più disparati? Secondo il «Washington Post» l'ex presidente, per esibire la sua ugola preziosa su commissione, per la Deutsche Bank o per Oracle, per Goldman Sachs come per la London School of Economics, ha guadagnato tra il 2001 e il 2005 circa 31 milioni di dollari, un vero pensionato d'oro.
da: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2008/01/politici-consulenze-carriera.shtml?uuid=64a18c04-bf6c-11dc-92dc-00000e25108c
Pensionati d'oro, le brillanti carriere degli ex politici
Tra le carriere d'oro dei politici in pensione il caso che ha fatto più discutere è stato certamente il suo. Gerhard Schröder, l'uomo che ha guidato la Germania dal 1998 al 2005, ha concluso il suo secondo mandato da cancelliere con la sigla di un accordo, da lui ritenuto fondamentale: quello per la realizzazione del gasdotto sottomarino Nord Stream, che avrebbe trasportato il gas russo direttamente in Germania senza la transazione di Paesi terzi.
Appena dismesse le vesti di leader di Governo, Schröder ha accettato la nomina da parte di Gazprom a presidente proprio della società operatrice Nord Stream AG, sollevando polemiche su un possibile conflitto di interessi. Le critiche sono arrivate dalle fila dell'opposizione, ma anche dai Paesi attraverso i quali passa solitamente il gas russo, e tagliente fu l'editoriale del Washington Post, intitolato «Il tradimento di Schroeder», che poneva degli interrogativi sull'eticità dell'utilizzo delle conoscenze internazionali del Cancelliere a favore della sua nuova causa.
Molto più recente è invece la nomina da parte di Morgan Stanley del professore universitario ex direttore del Tesoro ed ex ministro dell'Economia nel secondo Governo Berlusconi, Domenico Siniscalco, diventato ufficialmente Chief Executive della divisione italiana del colosso bancario americano il primo dicembre del 2007. Tra le personalità dell'esecutivo berlusconiano anche Gianni Letta ha cambiato vita. L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato nominato advisor di Goldman Sachs nel giugno del 2007.
Per quanto riguarda i rapporti con i grandi istituti bancari i colleghi spagnoli non sono comunque da meno: è del dicembre scorso la notizia che Rodrigo de Rato, ex ministro delle Finanze ed ex vicepresidente del Governo di Madrid con Aznar, poi direttore esecutivo dell'Fmi, è stato ingaggiato da Lazard come senior managing director. E che dire infine delle parcelle di Clinton, Bill, pagato a peso d'oro solo per tenere un discorso di fronte ai pubblici più disparati? Secondo il «Washington Post» l'ex presidente, per esibire la sua ugola preziosa su commissione, per la Deutsche Bank o per Oracle, per Goldman Sachs come per la London School of Economics, ha guadagnato tra il 2001 e il 2005 circa 31 milioni di dollari, un vero pensionato d'oro.
da: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2008/01/politici-consulenze-carriera.shtml?uuid=64a18c04-bf6c-11dc-92dc-00000e25108c
giovedì, gennaio 10, 2008
Tony Blair, dalla Regina al Re..
Jp Morgan/ Arriva un super consigliere: Tony Blair, l'ex premier britannico
Giovedí 10.01.2008 09:44
Nuovo incarico per il già primo ministro britannico Tony Blair: dopo essere stato nominato inviato speciale in Medio Oriente dall'organismo internazionale d mediazione noto come Quartetto di Madrid, Blair sbarcherà anche a Wall Street come collaboratore dell'istituto creditizio americano 'Jp Morgan Chase & Co.', per il quale presterà i propri servigi di consulente part-time, fornendo indicazioni su questioni strategiche e di politica globale agli alti quadri della compagnia, a cominciare dai membri del consiglio di amministrazione; sarà inoltre testimonial della terza banca Usa per importanza in occasione di eventi che ne coinvolgano i clienti più prestigiosi.
Lo ha riferito lo stesso ex leader laburista al quotidiano 'The Financial Times', aggiungendo che nel prossimo futuro intende assumere una "ristretta manciata" di incarichi analoghi, oltre a creare entro l'anno una fondazione inter-religiosa e a occuparsi di lotta ai mutamenti climatici.
"Intendo fornire loro consigli su come affrontare i grandi cambiamenti politici ed economici che la globalizzazione comporta", spiega Blair sul giornale londinese. "Oggigiorno è molto forte l'interazione tra politica ed economia in diverse aree del mondo, ivi compresi i mercati emergenti", sottolinea. Nessuna indiscrezione invece sul compenso che percepirà da 'Jp Morgan', il cui direttore generale Jamie Dimon ha definito "di enorme valore" il contributo che il neo-assistente sarà presto in grado di fornire alla società finanziaria statunitense, "grazie alle cognizioni e ai rapporti di cui egli dispone".
Blair cedette la guida del governo di Londra e del Labour all'attuale premier Gordon Brown nel giugno 2006, e da allora ha intrapreso tra l'altro una lucrosa attività di conferenziere. Nel 2008 sarà tra le personalità di maggiore spicco cui spetterà aprire e coordinare i lavori dell'annuale World Economic Forum a Davos, in Svizzera.
da: http://canali.libero.it/affaritaliani/jpmorganblair100108.html?pg=1
L'ex premier inglese, già impegnato in conferenze e nella scrittura dell'autobiografia
ora diventa consulente della prestigiosa banca d'investimenti. per 750mila euro l'anno
Blair sbarca nel mondo degli affari
per lui un posto alla J.P. Morgan
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA - Da Downing street a Wall street. Tony Blair, fino allo scorso giugno primo ministro britannico, ha accettato un posto come consulente part-time per la J.P.Morgan, una delle più importanti banche d'investimenti americane, pilastro della cittadella finanziaria newyorchese.
L'ex-premier ha reso noto l'incarico, aggiungendo che intende svolgere mansioni simili di consulenza per un piccolo gruppo di grandi aziende e società interna zionali. Un part-time molto redditizio: la J.P.Morgan, secondo indiscrezioni del Financial Times, lo pagherà 500 mila sterline l'anno, circa 750 mila euro, per il suo lavoro. "Il commercio e l'impatto della globalizzazione mi hanno sempre interessato", ha dichiarato Blair a proposito della sua nomina. In realtà, osserva la stampa inglese, l'ex-premier non ha una reputazione di grande esperto di economia o finanza, quando era al governo lui si occupava della "big picture", ossia del quadro generale, lasciando agli specialisti il compito di predisporre piani e programmi (che lui poi ovviamente doveva approvare o respingere). Ma non è per questo che la banca di Wall street lo ha assunto, bensì per i suoi contatti ad alto livello con leader politici e grandi imprenditori in ogni angolo del pianeta, dunque per la capacità di poter alzare il telefono e chiamare persone di grande potere, quando la J. P. Morgan deve intraprendere un investimento o concludere un affare. "Il signor Blair darà un contributo di enorme valore alla nostra banca", dice Jamie Dimon, presidente esecutivo della J. P. Morgan. "Gli individui che hanno le conoscenze e le relazioni che ha lui si contano sulle dita di una mano in tutto il mondo".
Blair, naturalmente, non avrà bisogno di trasferirsi effettivamente a Wall street per svolgere la sua nuova attività, anche perché ne ha parecchie altre. Intanto continua la sua opera (gratuita, a parte qualche milione di euro di spese l'anno per ufficio, segretarie e viaggi) di negoziatore di pace del Quartetto (Usa, Russia, Unione Europea, Nazioni Unite) in Medio Oriente. Poi è impegnato a scrivere la propria autobiografia, per la quale ha firmato lo scorso anno un contratto da otto milioni di euro con un editore americano (solo Bill Clinton ha guadagnato altrettanto con le sue memorie). Inoltre è sempre in giro per il mondo a fare discorsi e tenere conferenze, pagate da 100 mila a 200 mila euro l'uno: si dice che guadagni a questo modo oltre un milione di euro al mese. Infine non è escluso che abbia altri ambiziosi piani per il futuro: questo fine settimana parlerà a un convegno politico organizzato a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy, tra crescenti supposizioni di una sua candidatura al nuovo posto di presidente dell'Unione Europea creato dal recentemente approvato trattato d'unione frai 27 paesi della Ue. Sarkozy, che andava a "lezioni private" da Blair quando era in corsa per l'Eliseo e che era un suo grande ammiratore pur appartenendo all'opposta corrente politica, appoggia fortemente la sua candidatura a presidente della Ue.
Ma non è chiaro se un presidente della Ue potrebbe fare contemporaneamente il banchiere per Wall street. A un certo punto Blair dovrà scegliere: il ritorno in politica o gli affari. E' vero che deve finire di pagare la casa da 6 milioni di euro che ha acquistato nel centro di Londra quando ha dovuto lasciare la sua residenza ufficiale di Wall street, ma è anche vero che, a questo ritmo di guadagni, l'avrà abbondantemente pagata entro breve tempo, per cui sarà probabilmente libero di scegliere quello che preferisce. Senza contare che a casa c'è anche Cherie Blair, uno dei cento avvocati migliori del Regno, che aiuta a riempire il conto in banca.
(10 gennaio 2008)
da: http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/esteri/blair-cattolico/consulenza-morgan/consulenza-morgan.html
Giovedí 10.01.2008 09:44
Nuovo incarico per il già primo ministro britannico Tony Blair: dopo essere stato nominato inviato speciale in Medio Oriente dall'organismo internazionale d mediazione noto come Quartetto di Madrid, Blair sbarcherà anche a Wall Street come collaboratore dell'istituto creditizio americano 'Jp Morgan Chase & Co.', per il quale presterà i propri servigi di consulente part-time, fornendo indicazioni su questioni strategiche e di politica globale agli alti quadri della compagnia, a cominciare dai membri del consiglio di amministrazione; sarà inoltre testimonial della terza banca Usa per importanza in occasione di eventi che ne coinvolgano i clienti più prestigiosi.
Lo ha riferito lo stesso ex leader laburista al quotidiano 'The Financial Times', aggiungendo che nel prossimo futuro intende assumere una "ristretta manciata" di incarichi analoghi, oltre a creare entro l'anno una fondazione inter-religiosa e a occuparsi di lotta ai mutamenti climatici.
"Intendo fornire loro consigli su come affrontare i grandi cambiamenti politici ed economici che la globalizzazione comporta", spiega Blair sul giornale londinese. "Oggigiorno è molto forte l'interazione tra politica ed economia in diverse aree del mondo, ivi compresi i mercati emergenti", sottolinea. Nessuna indiscrezione invece sul compenso che percepirà da 'Jp Morgan', il cui direttore generale Jamie Dimon ha definito "di enorme valore" il contributo che il neo-assistente sarà presto in grado di fornire alla società finanziaria statunitense, "grazie alle cognizioni e ai rapporti di cui egli dispone".
Blair cedette la guida del governo di Londra e del Labour all'attuale premier Gordon Brown nel giugno 2006, e da allora ha intrapreso tra l'altro una lucrosa attività di conferenziere. Nel 2008 sarà tra le personalità di maggiore spicco cui spetterà aprire e coordinare i lavori dell'annuale World Economic Forum a Davos, in Svizzera.
da: http://canali.libero.it/affaritaliani/jpmorganblair100108.html?pg=1
L'ex premier inglese, già impegnato in conferenze e nella scrittura dell'autobiografia
ora diventa consulente della prestigiosa banca d'investimenti. per 750mila euro l'anno
Blair sbarca nel mondo degli affari
per lui un posto alla J.P. Morgan
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA - Da Downing street a Wall street. Tony Blair, fino allo scorso giugno primo ministro britannico, ha accettato un posto come consulente part-time per la J.P.Morgan, una delle più importanti banche d'investimenti americane, pilastro della cittadella finanziaria newyorchese.
L'ex-premier ha reso noto l'incarico, aggiungendo che intende svolgere mansioni simili di consulenza per un piccolo gruppo di grandi aziende e società interna zionali. Un part-time molto redditizio: la J.P.Morgan, secondo indiscrezioni del Financial Times, lo pagherà 500 mila sterline l'anno, circa 750 mila euro, per il suo lavoro. "Il commercio e l'impatto della globalizzazione mi hanno sempre interessato", ha dichiarato Blair a proposito della sua nomina. In realtà, osserva la stampa inglese, l'ex-premier non ha una reputazione di grande esperto di economia o finanza, quando era al governo lui si occupava della "big picture", ossia del quadro generale, lasciando agli specialisti il compito di predisporre piani e programmi (che lui poi ovviamente doveva approvare o respingere). Ma non è per questo che la banca di Wall street lo ha assunto, bensì per i suoi contatti ad alto livello con leader politici e grandi imprenditori in ogni angolo del pianeta, dunque per la capacità di poter alzare il telefono e chiamare persone di grande potere, quando la J. P. Morgan deve intraprendere un investimento o concludere un affare. "Il signor Blair darà un contributo di enorme valore alla nostra banca", dice Jamie Dimon, presidente esecutivo della J. P. Morgan. "Gli individui che hanno le conoscenze e le relazioni che ha lui si contano sulle dita di una mano in tutto il mondo".
Blair, naturalmente, non avrà bisogno di trasferirsi effettivamente a Wall street per svolgere la sua nuova attività, anche perché ne ha parecchie altre. Intanto continua la sua opera (gratuita, a parte qualche milione di euro di spese l'anno per ufficio, segretarie e viaggi) di negoziatore di pace del Quartetto (Usa, Russia, Unione Europea, Nazioni Unite) in Medio Oriente. Poi è impegnato a scrivere la propria autobiografia, per la quale ha firmato lo scorso anno un contratto da otto milioni di euro con un editore americano (solo Bill Clinton ha guadagnato altrettanto con le sue memorie). Inoltre è sempre in giro per il mondo a fare discorsi e tenere conferenze, pagate da 100 mila a 200 mila euro l'uno: si dice che guadagni a questo modo oltre un milione di euro al mese. Infine non è escluso che abbia altri ambiziosi piani per il futuro: questo fine settimana parlerà a un convegno politico organizzato a Parigi dal presidente francese Nicolas Sarkozy, tra crescenti supposizioni di una sua candidatura al nuovo posto di presidente dell'Unione Europea creato dal recentemente approvato trattato d'unione frai 27 paesi della Ue. Sarkozy, che andava a "lezioni private" da Blair quando era in corsa per l'Eliseo e che era un suo grande ammiratore pur appartenendo all'opposta corrente politica, appoggia fortemente la sua candidatura a presidente della Ue.
Ma non è chiaro se un presidente della Ue potrebbe fare contemporaneamente il banchiere per Wall street. A un certo punto Blair dovrà scegliere: il ritorno in politica o gli affari. E' vero che deve finire di pagare la casa da 6 milioni di euro che ha acquistato nel centro di Londra quando ha dovuto lasciare la sua residenza ufficiale di Wall street, ma è anche vero che, a questo ritmo di guadagni, l'avrà abbondantemente pagata entro breve tempo, per cui sarà probabilmente libero di scegliere quello che preferisce. Senza contare che a casa c'è anche Cherie Blair, uno dei cento avvocati migliori del Regno, che aiuta a riempire il conto in banca.
(10 gennaio 2008)
da: http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/esteri/blair-cattolico/consulenza-morgan/consulenza-morgan.html
sabato, gennaio 05, 2008
glu..glu..glu..
http://www.romagnaoggi.it/showarticle.php?articleID=283310&storico=giorno§ion=news/Forli
sei in news/Forli, data 05.01.2008, orario 12:50.
Riciclaggio di denaro, dieci banchieri in manette
FORLI’ - Maxi operazione anti-riciclaggio della Squadra Mobile forlivese. Dieci le persone finite in manette per reati finanziari per un giro d’affari di circa 20 milioni di euro. Tra gli arrestati ci sono amministratori e consiglieri della Banca di Credito e Risparmio di Romagna e della Banca Asset di San Marino. 47 in tutto gli indagati. L’indagine, durata quattro mesi e coordinata dal pm Fabio Di Vizio, ha visto il coinvolgimento di 120 uomini, anche da fuori Regione.
“Re Nero”, questo il nome dell’operazione che ha permesso di “decapitare i vertici di due banche”, come ha commentato il dirigente della Mobile, Oscar Ghetti. Gli arrestati (sette in carcere e tre ai domiciliari) sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di attività bancaria e finanziaria abusiva, di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, di riciclaggio di denaro nero, sottratto all’imposizione fiscale, di raccolta del risparmio ed esercizio del credito abusivi, di ostacolo alle operazioni dell'Autorità bancaria di vigilanza, riciclaggio, falso ed altro.
http://www.sanmarinortv.sm/attualita/default.asp?id=35&id_n=23739
Due banche nella bufera
05/01/2008 10 ordinanze di custodia cautelare, eseguite dalla polizia di Stato di Forlì. In manette alcuni amministratori della Asset Banca di San Marino e della finanziaria che fa capo allo stesso istituto di credito.
47, in totale, le persone indagate per reati di natura finanziaria. “Re Nero”, questo il nome della maxioperazione che ha permesso, come ha commentato il dirigente della Squadra Mobile di Forlì Oscar Ghetti di “decapitare i vertici di due banche”. Secondo gli investigatori, la Banca di Credito e Risparmio di Romagna altro non era che uno “sportello” in Italia della Asset Banca di San Marino. L’indagine, durata un anno, ha portato all’arresto – tra gli altri – di tre sammarinesi: Stefano Ercolani, presidente della Asset Banca, Barbara Tabarrini direttore generale e Stefano Venturini che siede nel consiglio d’amministrazione di entrambe le banche. Secondo la squadra mobile forlivese lo scopo dei dirigenti era quello di offrire agli imprenditori locali un servizio illegale: poter creare un tesoro in nero a San Marino. Gli imprenditori, affermano gli investigatori, potevano poi contare su un duplice vantaggio. Oltre al tesoro sammarinese, formato spesso con denaro sottratto indebitamente alle proprie attività societarie, l’Asset Banca – tramite la banca forlivese – concedeva linee di credito di pari importo a quanto depositato illegalmente. Questo poteva essere messo a bilancio tra le passività, abbattendo così gli utili e le conseguenti imposte fiscali. All’attività di uno dei corrieri che alimentavano il flusso di denaro verso l’istituto di credito del Titano secondo la Polizia è riconducibile il caso di Andrea Babbi, il piccolo commerciante di Mercato Saraceno vittima di un sequestro lampo e del furto di circa 180mila euro in contanti mentre stava uscendo dalla sede sammarinese di Asset Banca nello scorso novembre. Il fatto però che Babbi non avesse alcun rapporto con la banca forlivese fa ipotizzare agli inquirenti l’esistenza di altri canali di approvvigionamento di denaro e clienti per la Asset. Gli arrestati, alcuni come amministratori della Asset Banca e della società finanziaria San Marino Asset Management e altri in qualità di consiglieri e amministratori dell'istituto di credito 'Banca di Credito e Risparmio di Romagna' sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di attività bancaria e finanziaria abusiva, di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, di riciclaggio di denaro nero, sottratto all’imposizione fiscale, di raccolta del risparmio ed esercizio del credito abusivi, di ostacolo alle operazioni dell'Autorità bancaria di vigilanza, riciclaggio, falso ed altro. 24 le perquisizioni effettuate. Disposto il sequestro preventivo di 11 milioni di euro quale capitale sociale della "Banca di Credito e Risparmio di Romagna" da non confondere con il 'Credito di Romagna'. La somiglianza tra i nomi delle due banche sta creando qualche preoccupazione, dice l'amministratore delegato e direttore del 'Credito di Romagna', Giovanni Mercadini, che vuole rassicurare i suoi correntisti. Il 'Credito di Romagna' è presente con numerosi sportelli in tutta la regione, mentre la banca al centro delle indagini della polizia, ha un unico sportello a Forlì.
http://www.sestopotere.com/index.ihtml?step=2&rifcat=110&Rid=147414
(5/1/2008 16:43) | FORLì: OPERAZIONE "RE NERO", DUE BANCHE NEI GUAI
(Sesto Potere) - Forlì - 5 gennaio 2008 - La squadra mobile di Forlì, al termine di un'articolata indagine durata tre mesi e coordinata dal pm Di Vizio, ha smantellato l'attività illecita perpetrata da due istituti di credito, la Asset Banca di San Marino e la Banca di Credito e Risparmio della Romagna, e tratto in arresto 10 persone di cui 3 ai domiciliari, ritenute responsabili di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di abusiva attività bancaria e finanziaria, di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, e riciclaggio di denaro. A questi si aggiungono 37 imprenditori indagati per reati finanziari vari. Secondo quanto appurato dagli inquirenti, la Banca forlivese non era altro che uno 'sportello' in Italia della Asset Banca di San Marino. Scopo dei dirigenti era quello di offrire agli imprenditori locali un 'servizio' illegale molto redditizio: potevano evitare di contabilizzare certe somme di denaro portandole alla banca del titano attraverso corrieri di fiducia e mettendoli così al sicuro da accertamenti fiscali. Poi l'istituto sammarinese, attraverso l'apertura di crediti di pari importo presso la banca forlivese, permetteva ai clienti di gestire comodamente il proprio conto. Un sistema che peraltro, sottraeva molti ottimi clienti alle altre banche, che non potevano reggere la concorrenza con simili 'servizi'. A gestire il sistema illegale erano il presidente dell'Asset Banca Stefano Ercolani 45 anni, che si autodefiniva il “Re del Nero”, coadiuvato dal direttore Barbara Tabarrini, 37 anni, e Stefano Venturini, 40 anni, che manteneva i contatti tra San Marino e Forlì. Gli altri finiti in manette nell'inchiesta della procura di Forli' sono Tristano Zanelli, 62enne cesenate residente a Forli', che si occupava del reclutamento degli imprenditori; Valerio Abbondanza, 47 anni, residente a Cesena, consigliere dell'istituto di credito forlivese; Stefano Galvani, 44 anni, residente a Rimini, presidente del collegio sindacale di Banca di Credito e Risparmio; Fabrizio Neri, 59 anni, di Forli', direttore generale di Banca di Credito e Risparmio. Agli arresti domiciliari per motivi di eta' ci sono invece Arnaldo Corbara, 78 anni, residente a Bertinoro (Forli'-Cesena), presidente del consiglio di amministrazione e procuratore speciale di Banca di Credito e Risparmio; Gabriele Vignoletti, 70 anni, residente a Forli' e consigliere e procuratore speciale di Banca di credito e Risparmio e, infine, Vincenzo Dell'Aquila, 70 anni, di Forli', presidente del consiglio di amministrazione di Banca di Credito e Risparmio di Romagna e conosciuto nel mondo sportivo forlivese in qualità di presidente provinciale del Coni. L'autorità giudiziaria ha inoltre disposto il sequestro degli 11 milioni di capitale sociale dell'istituto forlivese.
C.R.
http://www.sanmarinortv.sm/attualita/default.asp?id=35&id_n=23737&Pagina=1
Inchiesta di Forlì: le reazioni e i commenti
Asset Banca
05/01/2008
E’ un fulmine a ciel sereno che di colpo attraversa la comunità e lascia interdetti. In manette a Forlì uno dei più noti e stimati commercialisti della Repubblica, convocato in questura, stando alle voci, per altre ragioni, dove si è visto contestare pesanti reati per l’attività della Banca di Credito e Risparmio di Romagna, di cui è uno dei consiglieri di amministrazione. Insieme a lui anche il Presidente e il Direttore Generale della Banca Asset. Sorpreso della notizia il Segretario di Stato alle Finanze, Stefano Macina, che dichiara di non aver al momento alcun elemento per potersi esprimere. Macina assicura l’intenzione di seguire la vicenda con grande attenzione per capire bene di cosa si tratti, valutare attentamente le accuse mosse e la loro rispondenza effettiva ai fatti. “Non abbiamo ricevuto alcuna informazione in merito – dichiara il responsabile delle politiche finanziarie – e neppure alcuna richiesta da parte italiana. Per quel che ci riguarda non mancheremo di verificare attentamente tutti gli aspetti relativi stando in stretto contatto con la Banca Centrale e i suoi organismi di vigilanza e controllo. Certo – aggiunge Macina - se l’Italia avesse dato il via libera all’accordo di collaborazione già definito fra la nostra Banca Centrale e la Banca d’Italia, avremmo avuto sicuramente qualche strumento in più per prevenire e controllare le operazioni finanziarie fra i due paesi".
Ma l’incredulità è generale, sia per i vertici della Banca, che in quasi dieci anni di attività non ha mai dato alcun segno di operazioni non ortodosse sia per il coinvolgimento di stimati professionisti che hanno sempre svolto la loro attività nel più assoluto rispetto delle regole. Il Direttore della Banca Centrale, Luca Papi, come il Segretario alle Finanze conferma la totale assenza di informazioni al riguardo e dichiara che come autorità di vigilanza sul settore finanziario della Repubblica non hanno mai ricevuto comunicazione alcuna né richiesta di chiarimenti o informazioni. Quello che sappiamo – dichiara Papi – lo abbiamo appreso dalle agenzie di stampa e dalla televisione.
http://www.sanmarinortv.sm/attualita/default.asp?id=35&id_n=23744&Pagina=1
Inchiesta di Forlì: l'opinione dei legali
San Marino
05/01/2008
La vicenda è destituita di ogni fondamento. Lo afferma Alessandro Petrillo, l’avvocato difensore di Stefano Ercolani e Barbara Tabarrini, rispettivamente Presidente e Direttore Generale della Banca Asset- “Gli elementi che ho a disposizione - dichiara il legale - mi consentono di affermare che si tratta di operazioni bancarie svolte nell’assoluto rispetto di qualsivoglia norma di legge, così come assolutamente regolamentari erano i rapporti e le relazioni fra le due banche. L’ipotesi accusatoria – aggiunge l’avvocato Petrillo – ritengo sia priva di ogni serio elemento di riscontro. E’ fortemente critico l’avvocato dei vertici della Asset, che si dichiara pronto ad affrontare tutti gli impegni giudiziari previsti. “I miei assistiti – rivela – aspettano di essere sottoposti al giudizio della magistratura nella massima serenità, certi di poter dimostrare la loro totale estraneità. Una serenità – conclude l’avvocato Petrillo – che si fatica a conservare vedendo due persone per bene rinchiuse in carcere pur avendo svolto nella piena correttezza il proprio lavoro”.
Anche l’avvocato Moreno Maresi ha fatto visita al suo assistito, il dottor Stefano Venturini, nella casa circondariale di Forlì. Lo ha trovato duramente provato per una vicenda dalla quale è assolutamente estraneo ed incredulo per quello che gli sta accadendo. Il dottor Venturini – ha affermato il suo legale – saprà chiarire ampiamente la propria posizione in considerazione del ruolo che in tutta questa vicenda ha rivestito. Conseguentemente – aggiunge l’avvocato Maresi – si potrà escludere ogni suo coinvolgimento nelle condotte delittuose che gli vengono addebitate. Verso metà settimana il giudice che ha firmato le ordinanze di custodia cautelare procederà all’interrogatorio di garanzia e solo allora i legali dei tre sammarinesi potranno presentare istanza di scarcerazione dei loro assistiti.
http://www.romagnaoggi.it/showarticle.php?articleID=283310&storico=giorno§ion=news/Forli
Riciclaggio di denaro, dieci banchieri in manette
FORLI’ - Maxi operazione anti-riciclaggio della Squadra Mobile forlivese. Dieci le persone finite in manette per reati finanziari per un giro d’affari di circa 20 milioni di euro. Tra gli arrestati ci sono amministratori e consiglieri della Banca di Credito e Risparmio di Romagna e della Banca Asset di San Marino. 47 in tutto gli indagati. L’indagine, durata quattro mesi e coordinata dal pm Fabio Di Vizio, ha visto il coinvolgimento di 120 uomini, anche da fuori Regione.
“Re Nero”, questo il nome dell’operazione che ha permesso di “decapitare i vertici di due banche”, come ha commentato il dirigente della Mobile, Oscar Ghetti. Gli arrestati (sette in carcere e tre ai domiciliari) sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di attività bancaria e finanziaria abusiva, di ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, di riciclaggio di denaro nero, sottratto all’imposizione fiscale, di raccolta del risparmio ed esercizio del credito abusivi, di ostacolo alle operazioni dell'Autorità bancaria di vigilanza, riciclaggio, falso ed altro.
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