sabato, dicembre 09, 2006

MA LA STAMPA ITALIANA A CHE SERVE (oltre che ad incartare le uova o pulire i vetri?)

Cesare Geronzi, Roberto Colaninno e Divo Gronchi condannati..

MA LA STAMPA ITALIANA A CHE SERVE
(oltre che ad incartare le uova o pulire i vetri?)



da http://it.news.yahoo.com/08122006/58-56/geronzi-colaninno-gronchi-sospesi-cda-delle-banche.html

MILANO (Reuters) - La condanna di ieri a Brescia di Cesare Geronzi, Roberto Colaninno e Divo Gronchi - fra gli altri - comporta per i tre manager la sospensione immediata dalla carica di amministratore di società bancarie, mentre tutte le altre pene sono sospese e non verranno eseguite fino a che la sentenza non diventerà eventualmente definitiva.

La legge e il regolamento sui requisiti di onorabilità di amministratori di società bancarie e sgr prevedono infatti la sospensione immediata dalla carica anche a fronte di una condanna non definitiva . L'assemblea della società può però prendere atto della condanna e confermare comunque il consigliere.

Geronzi oltre a essere presidente di Capitalia siede nel cda Mediobanca, Colaninno è consigliere della banca romana e di quella milanese, mentre Divo Gronchi è amministratore delegato di Bpi, prossima alle nozze con Popolare di Verona e Novara.

Capitalia ha già fatto sapere in una nota che il cda dell'11 dicembre esaminerà la sentenza "in particolare per le deliberazioni relative alla convocazione dell'assemblea" che dovrebbe tenersi il 18 gennaio, secondo una fonte finanziaria.

Non è stato possibile per ora avere un commento da Bpi e Mediobanca, che quest'anno, il 29 maggio, ha già tenuto un'assemblea per confermare Geronzi dopo un provvedimento di interdizione emanato dalla Procura di Parma nell'ambito dell'inchiesta Parmalat.

La prima sezione penale del Tribunale di Brescia, secondo una fonte legale, ha condannato stanotte Geronzi e Gronchi entrambi a un anno e otto mesi per bancarotta semplice, il presidente e Ad di Piaggio Roberto Colaninno a quattro anni e un mese per bancarotta preferenziale al termine del processo di primo grado sul fallimento del gruppo edilizio Italcase-Bagaglino.

Il Tribunale ha inoltre condannato fra gli altri Mario Bertelli - il patron dell'impero dell'edilizia turistica di lusso crollato a fine anni 90 per un buco di 1.200 miliardi di lire - a 13 anni di reclusione, gli ex membri del cda di Banca Agricola Mantovana Steno Marcegaglia ed Ettore Lonati a quattro anni e un mese di carcere e l'ex vicepresidente di Unipol Ivano Sacchetti a un anno e otto mesi.

Per quel che riguarda le pene accessorie, il Tribunale ha disposto per Geronzi e Sacchetti l'incapacità a ricoprire uffici direttivi per due anni, mentre Colaninno, Lonati e Marcegaglia sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Le pene accessorie, come quelle principali, non diventano esecutive sino a quando la sentenza non sarà passata in giudicato, dopo gli eventuali gradi di appello.

Geronzi, Colaninno e Gronchi sono fra i 62 imputati - fra amministratori, soci e consiglieri delle società della holding edilizia, e una schiera di banchieri - per i quali la procura aveva chiesto un totale complessivo di oltre 174 anni.

Secondo la procura, le banche avrebbero cercato di mettersi in una posizione di vantaggio in vista del fallimento. In particolare la procura sostiene che i banchieri, pur di fronte al crack inevitabile, finanziarono il piano di salvataggio del gruppo attraverso garanzie ipotecarie per trasformare i crediti chirografari in privilegiati, danneggiando così tutti gli altri creditori.

Tutti i banchieri hanno sempre respinto gli addebiti.



da: http://it.biz.yahoo.com/08122006/2/crac-italcase-grado-condanna-i-big-fi.html

(ANSA) - BRESCIA, 8 DIC - Con la condanna di alcuni dei nomi più noti della finanza italiana, da Roberto Colaninno, Steno Marcegaglia e Ettore Lonati (4 anni e 1 mese ciascuno) a Cesare Geronzi, Divo Gronchi e Ivano Sacchetti (per tutti e tre 1 anno e 8 mesi) si è concluso il processo di primo grado per il cosiddetto crac Italcase.

La sentenza - che ha condannato Mario Bertelli, patron di Italcase alla pena più pesante, 13 anni di reclusione - è stata pronunciata a notte inoltrata dopo oltre due anni di udienze e dopo una settimana di camera di consiglio: una mole di lavoro giustificata dalla presenza di 62 imputati. Una sentenza complessa, tanto che per la sola lettura del dispositivo sono stati necessari 40 minuti.
Colaninno, Marcegaglia, Lonati e altri sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Beneficeranno però dell' indulto, con il condono di tre anni di pena. Gronchi, Sacchetti e Geronzi, fra i personaggi di maggior spicco, sono stati dichiarati inabilitati all'impresa commerciale e agli uffici direttivi per due anni. Ma il Tribunale ha concesso loro la sospensione condizionale sia della pena principale che di quella accessoria.
"Il gruppo imprenditoriale ex Italcase Bertelli poi Country Village ha costituito, per anni, una delle primarie realtà imprenditoriali sulla scena bresciana". Iniziava così la ricostruzione che della vicenda passata alle cronache come 'crac Italcase', e che produsse una voragine finanziaria da più di 1000 miliardi di vecchie lire, aveva fatto l'accusa, nel processo iniziato il 22 novembre del 2004. In questi due anni di udienze tenutesi, soprattutto, in considerazione del numero degli imputati, nell'aula bunker di via Collebeato a Brescia, si è parlato di villaggi in Sardegna, del ruolo delle banche nella vicenda, particolarmente complessa. Ma sin dall'inizio della propria ricostruzione di quanto sarebbe accaduto, poco dopo la descrizione dell'importanza del gruppo, "organizzato in 19 società" il Pm Silvia Bonardi, che nelle indagini e nel processo ha rappresentato l'accusa, era passata a indicare il 1998, come l'anno quando le difficoltà in cui il gruppo si " dibatteva da anni", si "evidenziarono".
E' poi negli anni successivi che viene " congegnato e posto in essere" quello che nella ricostruzione del pm - sostanzialmente accolta dal Tribunale - è "un disegno di spoliazione dalla massa fallimentare" delle "perle immobiliari del gruppo". Nel 2000, però a seguito di una verifica fiscale la Guardia di Finanza interrompe " tale disegno". E dalle indagini emergono "numerosi atti distrattivi" da parte "degli amministratori, di diritto e di fatto", finalizzati "a salvare elementi patrimoniali delle società delle società destinate al fallimento, trasferendoli ad altre società o privati", obbligando di fatto gli organi delle diverse procedure fallimentari ad una continua "rincorsa" dei beni destinati alla garanzia patrimoniale dei creditori".
Da allora l'inchiesta, il rinvio a giudizio, il processo e oggi la sentenza.(ANSA).




cercando "GERONZI" e "REPUBBLICA" si trova quest'altra storia DIMENTICATA

da: http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/economia/cirio/banchiere1/banchiere1.html

Sullo sfondo del caso Geronzi, anche gli attacchi del ministro del Tesoro al governatore Fazio
Le ambizioni del superbanchiere impigliato nella sua ragnatela
Con Capitalia è riuscito a trasferire a Roma l'eredità della Mediobanca di Cuccia
di MASSIMO GIANNINI

NEL Paese dei garantisti a corrente alternata, può succedere che nella maggioranza qualcuno festeggi una sentenza di condanna a 5 anni di galera per Cesare Previti come se fosse un'assoluzione, e pochi giorni dopo saluti un semplice avviso di garanzia per Cesare Geronzi come una pronuncia definitiva e inappellabile. Ma a parte queste inattuali "sottigliezze" da trapassati cultori di un'etica del diritto, la notizia che il presidente di Capitalia è stato iscritto nel registro degli indagati per il crac della Cirio fa in effetti parecchio rumore.

Tramontata l'era degli Agnelli e i Pirelli, spenta la stella dei Cuccia e dei Siglienti, il "Cesarone" della superbanca romana, con quella perfetta chioma d'argento pareva davvero il simbolo del "nuovo ordine" del capitalismo italiano. Algido, autoreferenziale, e intoccabile. Quel suo studio affrescato, al quarto piano del palazzo a due passi da Piazza Venezia, era diventato la cabina di regia di tutte le più importanti operazioni di questi ultimi anni. La sua nuova creatura, Capitalia, aveva assunto l'eredità della vecchia Mediobanca governata dal mitico "don Enrico". Il moderno salotto buono della finanza, trasferito dalle poltroncine stile impero di via Filodrammatici a Milano ai divani di pelle rossa di Via del Corso a Roma.

Dopo l'"incidente" sul caso Cirio, ci si chiede se questo "giocattolo" finirà per rompersi. Chi gli ha parlato, racconta di un Geronzi seccato, ma tranquillo. L'uomo è navigato. Roma è una piazza difficile, il Centro-Sud una frontiera rischiosa. Miscela di affarismo politico, velleitarismo finanziario e avventurismo imprenditoriale. Lo sa bene, "Cesarone". Creare il suo gigante bancario gli è costato scommesse e compromessi. Sempre un po' "border line". Tentate convergenze con l'alta finanza lombardo-piemontese. Ma anche relazioni pericolose con il generone romano e sudista: da Ciarrapico e Bocchi a Casillo e Semenzato. Dal disastro Federconsorzi all'affare Cirio. C'è stata una lunga fase in cui l'Avvocato, con sabaudo distacco, diceva: "Quell'istituto si dà un gran da fare: secondo me lo dovrebbero chiamare "Banca di traffico centro-meridionale"...". L'ambizione di Geronzi è sempre stata quella di trasformarla, la sua banca. A costo di seminare nel fango. Alla fine degli anni '80, con l'indulgenza della Dc, del Vaticano e del Psi, con la sua piccola Cassa di Risparmio di Roma assorbì il Banco di Santo Spirito e il Banco Roma. A metà degli anni '90 sfilò allo scalcagnato conte Auletta la disastrata Bna. A metà del 2002 ha "ingoiato" Bipop e Banco di Sicilia, piene di sofferenze e buchi di bilancio, e ha dato vita finalmente al colosso bancario che aveva sempre sognato.


Con Capitalia, Geronzi è riuscito a trasferire Piazzetta Cuccia a Via del Corso. È riuscito a tessere una trama di rapporti personali e di incroci azionari blindati con l'Ambroveneto e l'Unicredit. Paradossalmente, proprio grazie ai buoni uffici di Gianni Agnelli, che nel frattempo aveva imparato a stimarlo e che in una delle ultime cene dell'Avvocato a Milano aveva detto a Bazoli: "Lei, Profumo e Geronzi dovreste collaborare, per il bene dell'Azienda Italia...". Così è stato. Nel vuoto pauroso di classe dirigente e nel declino inesorabile dell'industria nazionale, i tre hanno gestito la drammatica crisi della Fiat, governato la ristrutturazione di Telecom, pilotato la transizione di Mediobanca. Nel bene e nel male, hanno assicurato uno sbocco non traumatico al "Sistema-Paese", altrimenti condannato alla colonizzazione o alla scomparsa.

Oggi Geronzi è un super-banchiere. Nel patto di sindacato di Capitalia ha riunito Moratti e Tronchetti, Colaninno e Ligresti. È vicepresidente anziano di Mediobanca, ha partecipazioni strategiche ovunque. Si è inventato una specie di "Capitalia football club". È azionista di riferimento della Lazio. Ha in mano la Roma di Sensi. Presta soldi all'Inter di Moratti. Tiene in pegno il 99,5% delle azioni del Perugia di Gaucci. Si serve della "leva" finanziaria del Mediocredito centrale, presieduta da Franco Carraro che è anche presidente della Figc. Ha una figlia, Benedetta, che dello stesso Mediocredito centrale è responsabile marketing. Ha un'altra figlia, Chiara, che è giornalista del Tg5 e che ha fondato la Gea World, insieme ai figli di Moggi, Tanzi e Cragnotti.

Era fatale che, in questa fitta e intricatissima ragnatela, Geronzi rimanesse impigliato ai trucchi di quello che il solito Cuccia definì "una fattucchiera", cioè proprio Sergio Cragnotti? Lo dirà l'inchiesta. Per adesso, resta il "rumore" dell'avviso di garanzia che gli è piovuto in testa. Per il sicuro impatto mediatico con il quale è stato "gestito" dai magistrati della Procura di Roma: annuncio a mercati aperti, con perquisizioni nelle abitazioni private del banchiere. Per la sorprendente rilevanza delle ipotesi di reato formulate: bancarotta "preferenziale" e truffa. Ma poi, soprattutto, per le implicazioni politiche che la vicenda si porta dietro. Parte dalla Cirio, investe Capitalia, lambisce la Banca d'Italia: l'istituzione che, suo malgrado, sfugge al controllo del governo. Detta in parole più semplici: nasce da Cragnotti, si estende a Geronzi, porta ad Antonio Fazio. Il personaggio che, suo malgrado, è sospettato dal centrodestra di nutrire segrete ambizioni per il "dopo-Berlusconi".

Di questi risvolti, non possono e non devono tener conto né i 35 mila risparmiatori gabbati dalle obbligazioni della Cirio, né tanto meno i procuratori della Repubblica. La magistratura merita un rispetto assoluto. Sarebbe inaccettabile anche il solo sospetto che qualche toga romana si sia mossa a comando, su pressione di qualche potentato "esterno". Un caso Baffi-Sarcinelli c'è già stato, a macchiare le pagine della storia italiana. Ma quello che colpisce è la disinvolta rapidità con la quale i politici, da Cossiga a La Malfa, cavalchino l'avviso di garanzia al presidente di una banca di Roma, per mettere in discussione il governatore della Banca d'Italia. Quanta fretta da parte di chi, in altri contesti, ha giustamente invocato la tutela costituzionale dell'articolo 27: l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva, cioè dopo i tre gradi di giudizio. Nel caso Cirio-Capitalia, il giudizio non è neanche cominciato. E non è nemmeno detto che cominci.

Geronzi e Fazio sono amici. Ma oltre all'amicizia, condividono un progetto: "Tutti e due hanno sempre avuto a cuore la salvaguardia di un solido polo creditizio del Centro-Sud", dice un grande banchiere del Nord. Ma la difesa di quel progetto, evidentemente, disturba la Casa delle Libertà. Perché avviene al di fuori della sua "giurisdizione", come ha dimostrato l'operazione Generali. E perché, come dice Cossiga, di qui alle elezioni europee può "nascondere" soluzioni politiche imprevedibili di fronte alla crisi di leadership del Cavaliere. Così si spiegano i velenosi attacchi del ministro del Tesoro contro la Banca d'Italia. A metà ottobre Tremonti ha tentato un "processo sommario" e indebito a Fazio, convocando un Cicr per contestare a Via Nazionale l'omessa vigilanza sui bond di Cragnotti. Fazio ha respinto l'assalto. Già allora ha chiarito che il controllo di merito sulla solvibilità dei soggetti non finanziari compete alla Consob. Alla Giornata mondiale del risparmio, il 31 ottobre, ha ricordato che in Italia c'è stato un solo caso di default, sui 32 che si sono verificati in Europa nel 2002. Ha spiegato che l'insolvenza Cirio rappresenta meno dello 0,05% delle attività finanziarie delle famiglie. Ha invitato i giudici e le singole banche a svolgere serenamente i propri doveri d'indagine, sanzionando le irregolarità ma evitando gli allarmismi.

La battaglia è appena cominciata. In queste ore turbolente, il governatore tiene in bella mostra, sulla sua scrivania, un "documento" prezioso. È il testo che Carlo Azeglio Ciampi ha letto una settimana fa, alla festa dei dipendenti da 30 anni al servizio di Palazzo Koch: "La Banca d'Italia rappresenta un modello di servizio istituzionale - ha detto il presidente della Repubblica - e se non è mai stata coinvolta in vicende "anomale", né toccata da fatti che potessero costituire disdoro per l'Istituto, il motivo sta proprio in questo modo d'essere della banca, il modo d'essere che vi ho trovato e che sono certo continui tuttora. Ha saputo coniugare professionalità delle prestazioni, efficienza della gestione, attenzione alle compatibilità finanziarie, trasparenza della propria azione...". Per Fazio, in questo clima rovente, la "copertura istituzionale" del Capo dello Stato vale quanto un'assicurazione sulla vita.
(6 dicembre 2003)


ossia 3 anni fa il signore era GIA' invischiato in fatti del genere!
e ancora:


da: http://www.repubblica.it/2003/g/sezioni/economia/cirio/geron/geron.html

Amministratori e sindaci in carica nel '96 accusati di false comunicazioni alla Banca d'Italia. Il processo a marzo
Geronzi rinviato a giudizio con gli ex vertici Banca di Roma
Il titolo Capitalia scivola a Piazza Affari

ROMA - Nuovo infortunio giudiziario per Cesare Geronzi e per i vertici della Banca di Roma in carica nel 1996. Un gruppo di consiglieri di amministrazione e sindaci dell'istituto di credito romano, tra i quali, appunto, Geronzi, sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di false comunicazioni alla Banca d'Italia, dal giudice dell'udienza preliminare Giorgio Maria Rossi. La questione, è ovvio, non ha nulla a che vedere con la vicenda Cirio che in questi giorni pesa sul presidente dei Capitalia.

Per gli stessi indagati, una quindicina, è stata dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio in relazione al documento contabile del 1996. Tra le persone rinviate a giudizio figura anche il nome di Antonio Nottola, all'epoca direttore generale della Banca di Roma. Il processo è stato fissato per il 23 marzo prossimo davanti al giudice monocratico. Secondo il collegio di difesa dei vertici della Banca di Roma si tratta di un'accusa di "limitato rilievo" e comunque "non appare minimamente fondata".

Sulla notizia del rinvio a giudizio, Capitalia scivola in Borsa: il titolo, che questa mattina aveva aperto in rialzo, dell'1,81%, a 2,645 euro, e che alle 9,17 toccava i 2,67 euro, dopo la notizia ha imboccato la via del ribasso, fino a toccare un minimo di 2,42 euro, in calo del 5,70%.

La vicenda culminata con la decisione del rinvio a giudizio fa riferimento all'inchiesta avviata nel 1997 sulla base di un esposto presentato da Maurizio Boccacci, già leader del disciolto Movimento Politico Occidentale nonché ex dipendente e sindacalista della Banca di Roma, nel quale si faceva riferimento a "una cattiva gestione delle risorse" da parte della Banca di Roma.


Al centro delle indagini presunte anomalie con particolare riferimento alla classificazione di crediti per alcune migliaia di miliardi di lire indicati sotto la voce delle "sofferenze" (quindi di difficile recupero) invece che sotto quelle dei "crediti vivi" o "partite incagliate" (ossia con prospettive di rientro). Classificazioni, secondo i pubblici ministeri Perla Lori e Gustavo De Marinis, titolari dell'inchiesta giudiziaria, che avrebbero avuto il fine di dimostrare il buon andamento dell' istituto di credito.

I pm avevano contestato per questo episodio il reato di falso in bilancio (dichiarato prescritto dal gip) e quello di false comunicazioni all'istituto centrale di vigilanza (per il quale è stato dichiarato il rinvio a giudizio). Nell'ambito della stessa inchiesta era stato approfondito un altro aspetto contenuto nella denuncia di Boccacci: i presunti finanziamenti illeciti che sarebbero stati erogati dalla Banca di Roma ad alcuni partiti. Gli accertamenti si conclusero con un'archiviazione delle posizioni degli indagati da parte dei pm Lori e De Marinis, quest'ultimo uno dei magistrati che indaga sul dissesto della Cirio che vede Geronzi, attuale presidente di Capitalia, sotto inchiesta per concorso in bancarotta preferenziale e truffa.
(12 dicembre 2003)



che altro dire?! attendiamo il 2009 per un'altra lieta novella o li mettiamo sotto chiave per sempre ORA?!?