risiko bancario in mano ai soliti noti
I casi Antonveneta e Bnl insegnano come poco sia cambiato nel panorama economico finanziario italiano.
di Giuseppe Turani
Da La Repubblica, rubrica Affari & Politica,
di domenica 24 aprile 2005
MILANO - E’ possibile sostenere che quello italiano è, a tratti, non sempre per fortuna, un capitalismo in guanti gialli? Se ci si riferisce al mondo bancario, senza dubbio. Basta fare l’elenco delle cose successe. Non solo si è offerto al mondo lo spettacolo di comportamenti non proprio specchiati, sono corsi anche dei morti. Quasi a ogni scandalo. Per i più giovani si può ricordare lo scandalo delle banche di Michele Sindona. Scandalo internazionale con, purtroppo, due morti. Quello dell’avvocato Giorgio Ambrosoli (che investigava su Sindona e che per questo fu ucciso da un killer prezzolato) e, successivamente, è morto lo stesso Sindona, nel carcere di Voghera, avvelenato con una tazzina di caffé, non si è mai capito da chi. Probabilmente dai suoi complici.
Più tardi c’è stato lo scandalo dell’impero industriale e bancario di Carlo Pesenti. Dopo anni e anni si è
scoperto che Carlo Pesenti controllava il suo impero con i soldi delle banche controllate da lui stesso. Insomma, si autocontrollava con i soldi dei suoi depositanti. In questo caso, lo scandalo (a cui si è poi posto rimedio) non ha prodotto morti. Va però ricordato che il morto c’era stato prima. L’intero affaire, infatti, è venuto a galla perché un funzionario dello stesso Pesenti, licenziato, si era suicidato in una pensione della Riviera Ligure, lasciandosi dietro alcune lettere nelle quali spiegava i misteri del suo padrone.
Poi abbiamo avuto, e qui è quasi cronaca recente, lo scandalo del Banco Ambrosiano. Altro caso in cui un tipo sveglio, Roberto Calvi, è arrivato a controllare la banca per cui lavorava con i soldi della sua stessa banca. Cattive compagnie e cattivi affari lo hanno portato a finire impiccato a un ponte di Londra. Suicidio o omicidio? Tutti, ormai, sono per la tesi dell’omicidio.
Non vorrei sembrare macabro, ma in questa velocissima ricostruzione potrei aver dimenticato qualche cadavere per così dire minore. Già così, comunque, sono cinque morti in tre scandali.
Ma, anche se per fortuna la sequenza dei morti forse è finita, ci sono stati altri scandali, piccoli e grandi. Ultimi quello Parmalat e Cirio, nei quali le banche qualche ruolo (non bello) lo hanno giocato. Questi due ultimi scandali, fra l’altro, avrebbero dovuto generare una nuova legge (urgentissima) sul risparmio, ma di essa ancora non si ha notizia.
Abbiamo, in conclusione, una certa tradizione finanziaria effettivamente un po’ in guanti gialli (qualche volta anche con venature rosso sangue). E è anche per questa ragione che, con gli anni, avremmo dovuto imparare a comportarci in modo assolutamente limpido e corretto. Invece non è così. Si continua nel voler fornire al resto del mondo lo spettacolo di un ambiente finanziario dai contorni imprecisi e dalle regole poco chiare.
Mi riferisco, come è ovvio, alle recenti polemiche Sulle Opa lanciate nei confronti di due banche italiane.
Nel caso della Bnl, ad esempio, si fa finta di non vedere che i soci del famoso contropatto (vicini al 30 per cento) sono soci industriali che ormai hanno in mano poco meno di un terzo dell’istituto mentre per legge dovrebbero stare ben al di sotto.
Ma le cose più gravi si stanno verificando nel caso Antonveneta. Qui siamo in pieno clima da capitalismo in guanti gialli. Da una parte c’è il governatore della Banca d’Italia che, invece di fare l’arbitro, autorizza (e anche promuove) riunioni in cui vari soggetti si coalizzano per opporsi all’Opa dell’Abn Ambro. E già questo è molto singolare. Poi si legge che la Consob sta disperatamente cercando di capire se tutti questi oppositori siano in concerto fra di loro (nel qual caso dovrebbe obbligarli a lanciare un’Opa a loro volta) oppure no. E si casca dal ridere. Forse basterebbe chiedere al governatore Fazio.
Ma non basta. Di fronte a un assalto che viene portato nei confronti dall’estero in base alle leggi e alle consuetudini dei mercati più maturi e sperimentati (una semplice Opa, con tanto di prezzo prefissato e di prospetto), ci si oppone con un formicolio di soggetti un po’ strambi (pochissimi dei quali quotati, forse nessuno, con bilanci che valli a trovare e a capire), legati fra di loro da un labirinto di intrecci finanziari da far venire il capogiro a chiunque.
Tutti questi si vantano sui giornali di aver già raggiunto una quota di azioni Antoveneta pari al 40 per cento, e quindi fanno sapere di avere già sconfitto la banca olandese Abn Ambro. Peccato che sopra il 30 per cento sia obbligatorio lanciare un’Opa sul 100 per cento delle azioni. Ma questi signori, difensori dell’italianità dell’Antoveneta, avranno i guanti galli, ma non hanno i soldi. E allora l’Opa non la lanciano, sostenendo che si conoscono, vanno a braccetto insieme, ma che si sono trovati a comprare azioni Antoveneta quasi per caso. E quindi non vale la regola dell’Opa obbligatoria. Poiché su tutti i giornali italiani e stranieri sono invece descritti, come è ovvio, come un gruppo che fa affari in comune da una vita e che in questo affare dell’Antonveneta è solidale e compatto come non mai, si sente odor di bruciato lontano un chilometro.
Insomma, i soliti italiani, siamo amici, ma guarda anche lei qui sull’Antoveneta, che combinazione, vuole un aperitivo? E la signora come sta? Mi saluti lo zio.
(25 aprile 2005)