mercoledì, marzo 02, 2005

Ad ognuno il suo (tasso)

dal sito di Marco Saba
Quanti tassi per l'euro (di Giuseppe Pennisi - MF, 24 febbraio 2005)

Il super-euro e il mini-dollaro colorano il dibattito di questi giorni sulla competitività e sulla svolta da attivo a passivo della bilancia commerciale. Di misure per potenziare la competitività se ne parla sin da quando, la scorsa estate, la legge finanziaria era in gestazione: ora si dovrebbe essere giunti all'approdo. Lo si toccherà con mano oggi quando governo e parti sociali si incontreranno nella "sala verde" al terzo piano di Palazzo Chigi. Immediate altre scadenze: il pomeriggio di domani, al Parco della Musica, componenti del governo ed esperti scambieranno idee su cosa fare per rilanciare il made in Italy. Il giorno seguente, alla presenza del presidente del consiglio, si terrà la seconda conferenza nazionale sul commercio con l'estero. Dollaro (alto) ed euro (basso) saranno l'ombra di Banco onnipresente. Come il fantasma che tormentava Macbeth. Nonostante un'unione monetaria che dura ormai da oltre un lustro, non esiste un solo valore effettivo dell'euro per i 12 della tanto mitica quanto virtuale Eurolandia né rispetto al resto del mondo né tra di loro. Il cambio effettivo di una moneta dipende dagli andamenti relativi del costo del lavoro, del numero delle ore lavorate, dei prezzi alla produzione, di quelli al consumo, e di tante altre determinanti. Per stimarlo si parte dal cambio nominale ma si devono fare anche un po' di calcoletti complicati. La Commissione europea li fa una volta ogni tre mesi, ma non è facile trovarli sul suo sito. L'Economist Intelligence Unit[ndw: l'organismo di intelligence dei banchieri e dei signori del signoraggio] li tara ogni mese e li fornisce ai propri abbonati. E' pane quotidiano per l'Institute of International Economics, ma viene servito solamente ai soci dell'augusto club. In breve, prendendo come base il 1999 (avvio dell'euro) ed utilizzando come parametri di base i movimenti del costo del lavoro e dei prezzi, l'euro "made in Germany" si è apprezzato del 4% circa rispetto al dollaro Usa e quello "made in France" del 9% mentre quelli "made in italy" e made in Ireland sono cresciuti del 17%. Se poi si guarda all'interno dell'area dell'euro, il nostrano si è apprezzato del 20% rispetto al tedesco e di oltre il 15% rispetto al francese. Ciò spiega perché a darci botte da orbi sui mercati commerciali internazionali (portandoci via quote di mercato) non siano i cinesi, gli indiani e i malesi, ma i cugini che, al di là delle Alpi, si bagnano sul Reno. Secondo le analisi econometriche di Prometeia e dell'Ice continueranno a farlo, con buona pace per la solidarietà europea, se non ci daremo una regolata. Presto e bene. Quando si inneggiavano peana all'euro, qualche bastian contrario ricordava che in un'unione monetaria c'è sempre qualcuno più uguale degli altri [ndw: ad esempio, gli italiani stanno pagando una tassa occulta di signoraggio alle banche dei paesi che non adottano l'euro al loro interno, come Inghilterra, Svezia e Danimarca]. Veniva trattato come un menagramo oppure come chi porta via le bottiglie di champagne nel bel mezzo di una festa. Forse non aveva tutti i torti.
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Nota del webmaster: nell'articolo non si fa cenno al fatto che alcuni paesi europei stanno utilizzando valute complementari locali per aumentare la competitività.