da il Meridiano
Diritti
12.11.2006 ore 13:05:00.
Per una nuova sovranità monetaria
Roma - Per quanto mi è noto, soltanto due grandi studiosi, Ezra Pound il poeta della lotta all’usura e il compianto Giacinto Auriti, preside della facoltà e docente di filosofia del diritto presso l’Università di Teramo, hanno dedicato gran parte della loro esistenza alla ricerca delle motivazioni che generano l’usura, ritenuta l’epidemia più vecchia nel mondo. Alla “gente comune” costituente la maggioranza silenziosa che considera lo Stato e le sue Istituzioni meritevoli di rispetto e fiducia, diviene difficile fare accettare una realtà oggi nota solo a pochi eletti, unicamente perché gli organi di informazione evitano, perché scottante l’argomento, che invece interessa tutti gli italiani. Conoscere la verità sul debito pubblico per la soluzione di ogni problema economico del nostro paese. Diversamente da come recita il suo logo, la Banca d’Italia s.p.a, non è di proprietà dello Stato italiano e né agisce per delega di questi, atteso che i suoi azionisti Gruppo Intesa (27,2%), Gruppo San Paolo (17,23%), Gruppo Capitalia (11,15%), Gruppo Unicredito (10,97%), Banca Carige (3,96%), Bnl (2,83%), Monte dei Paschi di Siena (2,50%), Cassa di Risparmio di Firenze (1,85%), ed altre banche minori sono detentori dell’85% del suo capitale sociale di € 154.937,07 pari a 300 milioni di vecchie lire. Così che gli istituti di credito azionisti della Banca d’Italia con un capitale investito di soli 260 milioni di vecchie lire, nel corso degli anni hanno lucrato un ingente signoraggio usurario. Poiché non è solo questo l’aspetto inquietante che oggi si vuole sottolineare, affrontiamo insieme il percorso che ci porterà a comprendere la dimensione, sia dello scippo subìto dagli italiani, che della vera causa dell’usura conseguente. Tutti i cittadini hanno il diritto di sapere che dopo l’avvento della costituzione dell’Unità d’Italia, gli istituti di emissione monetaria sono stati tutti accentrati nella Banca d’Italia s.p.a. con la partecipazione azionaria delle principali banche italiane. Negli anni in cui è stata costituita la Banca d’Italia esisteva l’obbligo della riserva aurea, necessaria per garantire la convertibilità della moneta emessa con oro corrispondente al suo valore di mercato. L’obbligo di garantire le emissioni con parità aurea era stato istituito nel lontano 1694 dalla Banca d’Inghilterra per dare certezze di stabilità delle banconote emesse, seguita nel tempo dagli istituti di emissione dei principali paesi a far data dal 1944, quando ad iniziativa dell’economista Keines intervenne l’accordo di Bretton Woods fra i rappresentanti di 44 paesi impegnati nella guerra contro l’Asse Tedesco, finalizzato al ripristino delle condizioni di convertibilità delle monete e alla creazione di un sistema di compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti al termine della guerra. In data 15 agosto 1971, il presidente statunitense Nixon con la dichiarazione unilaterale di inconvertibilità del dollaro in oro, poneva fine al regime dei cambi fissi instaurato dagli accordi, che sino ad allora aveva consentito lo straordinario sviluppo dei paesi che vi avevano aderito.
Così che mancando ogni forma di controllo sulle emissioni monetarie che venivano decise autonomamente dalla rispettive banche centrali negli anni successivi al 1971 è iniziata la pericolosa instabilità monetaria che per il nostro paese ha avuto per conseguenza la graduale crescita verticale dell’ingente debito pubblico. Seguendo l’esempio degli Stati Uniti da ottobre 1971 la Banca d’Italia ha continuato ad emettere moneta, con la differenza però che la stampa delle banconote non è più avvenuta con la garanzia delle riserve e a solo vantaggio della Banca d’Italia divenuta proprietaria della moneta emessa che nel tempo ha prestato ai governi che si sono succeduti, col risultato che già nel 2000 il debito pubblico dello Stato, ovvero di noi cittadini si era attestato all’incredibile cifra di 3500 milioni di miliardi. In realtà la Banca d’Italia era stata solo delegata dallo Stato, ovvero dal popolo sovrano alla emissione di banconote per conto di esso Stato, e non per fare un regalo ad esso Istituto di emissione e alle banche del paese, come di fatto è poi accaduto. In conseguenza della politica creditizia verso lo Stato e versi i cittadini effettuata con banconote, carta stampata, il cui valore è da ritenersi “per mera convenzione” e senza alcuna reale patrimonialità dell’ente emittente e quindi alla medesima stregua di assegni a vuoto, le banche italiane azioniste della Banca d’Italia hanno lucrato il così detto signoraggio, ovvero la peggiore usura praticata e in assoluto al tasso più elevato. Basti solo considerare che il rapporto tra valore delle banconote stampate ed immesse in circolazione e i costi per carta, allestimento e stampa è pari al 10 per mille, così che ogni milione di lire stampate sino all’anno 2000 aveva un costo di sole 10 mila lire ed un ricarico di signoraggio di lire 990 mila, pari al 990% giornaliero.
Tale assunto è stato anche confermato dalla sentenza emessa nel 2005 dal GdP di Lecce a seguito della Ctu che ha statuito il principio che la prioprietà della moneta non è né della Banca d’Italia e né tantomeno della Banca centrale europea, ma del popolo sovrano, ovvero degli italiani, e che il signoraggio accertato di cui hanno beneficiato le banche azioniste – ovvero il reddito di cittadinanza sottratto sulle sole banconote circolanti negli ultimi sette anni, che vanno dal 1998 al 2004 ammonta a oltre 5.023 miliardi di euro. A riprova della remuneratività del signoraggio è appena il caso di precisare che con l’avvento delle transazioni elettroniche, le moneta cartacea costituisce soltanto il 10% dell’intero ammontare delle operazioni creditizie effettuate dal sistema bancario, così che il signoraggio accertato dal giudice leccese deve essere moltiplicato per almeno 10 volte. La restituzione della sovranità monetaria al popolo italiano comporterebbe due ineguagliabili benefici immediati. Il primo consistente nell’azzeramento del debito pubblico con la conseguente eliminazione delle disumane gabelle fiscali; il secondo, la destinazione del reddito di cittadinanza ai suoi reali aventi diritto – Stato e Cittadini, che permetterebbe a tutti di divenire proprietari della propria casa di abitazione senza intaccare i rispettivi redditi da lavoro, che non sarebbero minimamente infuenzati dalla riforma prospettata. Con l’attuale situazione i beneficiari del signoraggio rimangono solo gli istituti di credito azionisti di Bankitalia detentori dell’85% del suo capitale sociale, per la cui restituzione allo Stato oggi pretenderebbero l’incredibile cifra di 14.700 milioni di euro. Ma l’aspetto più sconcertante del signoraggio è che la Banca d’Italia, nel suo bilancio del 2004 ha iscritto nello stato passivo l’importo di 99.007 miliardi di euro per moneta circolante, equivalente alla quota parte di banconote stampate dall’Italia in seno alla Banca Centrale Europea. Considerato che il costo di carta e stampa della moneta non supera il dieci per mille, e che non esistono riserve per garantire l’ingente circolante il cui valore e solo convenzionale e non intrinseco, come potrebbe essere se ogni moneta fosse di metallo pregiato, la Banca d’Italia avrebbe iscritto in bilancio un debito inesistente solo per eludere l’ammonatre reale del signoraggio che realizza annualmente. L’importo del circolante dichiarato fa emergere che le banconote possedute dagli italiani ammonterebbero mediamente a 17.700 euro a testa, mentre l’ammontare delle transazioni quotidiane effettuate dalle banche con utilizzo di riserve frazionate e di moneta virtuale supera nella sua globalità la media quotidiana di 50.000,00 euro per cittadino. Dati questi che fanno supporre come il signoraggio bancario avviene non solo sul circolante, ma fatto ancora più grave, anche su tutte le transazioni effettuate sotto forma di semplici operazioni virtuali e senza alcun reale movimento monetario, il cui ammontare supera ogni immaginazione umana. La posta passiva di 99.007 miliardi di euro avrebbe ragione di essere considareta tale, solo se questo importo fosse di proprietà e nella disponibilità dello Stato, essendo di fatto questi unico soggetto in grado di garantire col suo patrimonio pubblico e col suo Pil, prodotto interno lordo, la moneta emessa ed a cui compete il beneficio economico del signoraggio, che in questa ipotesi si trasformerebbe in remuneratività del circolante al saggio del Tur, Tasso Ufficiale di Riferimento, in vigore. Appare ovvio a questo punto precisare che riappropriandosi della sovranità popolare della moneta il Paese Italia, si ritroverebbe immediatamente spogliato del debito pubblico, e potrebbe diminuire le tasse ai minimi storici, sostituite da un signoraggio etico equivamente al reddito di cittadinanza. Le nuove emissioni monetarie potranno invece avvenire tenendo conto dell’andamento del Pil del Paese e finalizzate alla realizzazione di progetti ed opere pubbliche produttive di reddito che andrebbero a rafforzare ,la patrimonialità dello Stato. Strappando la proprietà monetaria al sistema bancario, cesserebbero di colpo i negativi condizionamenti che oggi influenzano la vita politica e quella dei cittadini in massima parte vittime di usura, divenuti nuovi schiavi dell’indebitamento privato che ha superato quest’anno il traguardo dei 90 mila miliardi di euro, benchè proprietari per diritto della moneta circolante nel paese.
Caro presidente Prodi, poiché lo Stato rischia di implodere per indebitamento proprio e dei cittadini, insieme alla sua coalizione se la sentirebbe di assumersi la responsabilità di compiere il primo passo in questa direzione e svincolare i cittadini dalla insidiosa Finanziaria in discussione, tale anche per quanti la sostengono a fatica?
a cura di Prof. Francesco Petrino
Presidente del Centro Studi Giuridici Snarp