martedì, dicembre 20, 2005

The IGB©'s Men: Tutti gli uomini de Il Grasso Bankiere©



Chiedo: in Italia c'è qualcuno NON foraggiato da Banche PRIVATE AMERICANE?



1. Mario Monti - Goldman Sachs
2. Galeazzo Pecori Giraldi - Morgan Stanley
3. Tommaso Padoa-Schioppa
4. Vittorio Grilli
5. Vincenzo Desario
6. Mario Draghi - vicepresidente Goldman Sachs



da effedieffe.com

Mario Monti il puro passa (strapagato) alla Goldman Sachs
Maurizio Blondet
15/12/2005

Mario Monti, ex-commisario europero alla concorrenza, nuovo acquisto della banca d'affari Goldman Sachs

Giorni fa, Gerard Schroeder è stato sepolto da una marea di critiche per aver accettato ora che non è più cancelliere di diventare capo del consiglio dei garanti del gasdotto del Baltico.
Questo gasdotto, che evita di passare attraverso la Polonia (ostile a Mosca) e salda un'alleanza strategica tra Berlino e Mosca, è stato voluto dallo stesso Schroeder in accordo con Putin.
«Conflitto d'interessi!», strillano i grandi media servili ai poteri forti.
Su Il Corriere del 13 dicembre, André Glucksmann strilla «la Gazprom si compra l'Europa!» (1)
e si scatena in un disgustoso attacco contro l'ex Cancelliere.
«Schroeder ha preso la bustarella per i servizi resi a Putin», per dare libero sfogo al dispetto con cui la nota lobby likudista vede l'asse russo-tedesco.
«Politicamente, è una mascalzonata ed è la sola motivazione: scavalcando Polonia, Ucraina, Paesi Baltici, Putin li punisce»: evidentemente la lobby voleva che Putin continuasse a pagare royalty ai suoi nemici.
E sperava in Angela Merkel per cancellare l'oleodotto che libera la Germania dalla dipendenza dal petrolio medio-orientale, ossia dai voleri israelo-americani.
«Ma Putin ha anticipato la firma del contratto, ed ora la Merkel ha le mani legate», sbava Glucksmann (2).


Urla e strepiti per il «conflitto d'interessi» di Schroeder, pesanti allusioni alla sua disonestà.
Frattanto arriva un'altra notizia, accolta con rispettoso silenzio dalla stampa asservita.
Mario Monti, l'uomo-Fiat che è stato commissario europeo alla concorrenza, come Schroeder ha trovato un impiego nel privato.
Se lo è «comprato» la Goldman Sachs - prima banca d'affari della nota lobby - per uno stipendio «che non è stato reso noto», ma che non è sbagliato ritenere miliardario (3).
I giornali britannici ricordano che Mario Monti «è celebrato per la sua dedizione nell'aprire i mercati europei alla competizione» (ossia per i servizi che ha reso alla globalizzazione), per aver «combattuto Francia e Germania» (la «vecchia Europa» odiata da Sharon) e «per aver rifiutato l'offerta del premier Berlusconi che lo voleva ministro delle Finanze nel 2004».
Per contro, è noto che Mario Monti «diventerà ministro nel futuro governo Prodi».


Anche Prodi consulente della Goldman Sachs fino all'altro ieri, ed oggi finanziato dalla banca d'affari per la sua campagna elettorale.
A quel che pare, a pagare Prodi è Linda Costamagna, una privata signora che per caso è moglie di Claudio Costamagna, gran capo della Goldman Sachs per l'Europa.
Varrà la pena di ricordare che la Goldman fu tra le capofila delle banche usurarie che vennero, a bordo del Britannia, lo yacht della regina d'Inghilterra, a imporre i loro metodi per la privatizzazione dei gioielli dell'IRI.
A quell'epoca salì sullo yacht anche Mario Draghi.
E anche lui oggi è alla Goldman Sachs.
I banchieri anglo-israeliti fecero allora grandi affari, e se ne ripromettono ancor più dal prossimo centro-sinistra al governo.
Ecco perché Il Corriere strilla che Schroeder ha un «conflitto d'interessi» per i suoi accordi con Putin, e tace sul conflitto d'interessi enorme, passato e futuro, di Mario Monti alla Goldman Sachs.
E' la legge talmudica in atto: due pesi e due misure.

Maurizio Blondet


Note
1) «Germania svegliati! Il tuo Cancelliere di ieri diventa senza pudore il capo del consiglio di sorveglianza dell'oleodotto Gazprom del Baltico. La nomina scoppia come una bomba nelle teste e apre gli occhi agli increduli. 'Il Cancelliere svenduto in saldo?'.
Enorme farsa! Ma lavoro interessante, del resto defiscalizzato in Svizzera. La reciproca passione di Schröder e Putin assume un nuovo aspetto. Nessuno ignora che, senza tale passione, lo scandaloso contratto non sarebbe stato concluso. Nessuno ignora che, senza Putin, Schröder non prenderebbe il bakchich, la bustarella per i servigi resi. Non si dà niente per niente.
Il nostro compare, onore reso al suo rango passato, controllerà il capo di una filiale della Dresdner Bank, Mathias Warnig, spia della Stasi quando Putin lavorava in Germania per il KGB. Chi si assomiglia si accoppia. Avevo preannunciato l'immenso potere di corruzione della Russia di Putin. Pochi mi credettero. Adesso ci siamo. Ed è solo un inizio. L'affaire ha la sua importanza. Una settimana prima delle elezioni che segnavano la prevedibile fine di Schröeder, Putin si è precipitato a Berlino. Ha anticipato la firma del contratto (8/9/2005) le cui cerimonie erano previste per novembre, cioè dopo le legislative. 'Pacta sunt servanda'.
Le mani di Angela Merkel sono legate. Prima che fosse troppo tardi, il Cancelliere uscente ha venduto la Germania ai voleri del Cremlino, che ormai controlla la sua energia e spera di controllare ancora la sua politica. L'oleodotto sottomarino contraddice la razionalità economica. Costa miliardi di più che se passasse sul suolo, dove si potrebbe con un minimo di spesa raddoppiarne la capacità. Da un punto di vista ambientale, i rischi di incidenti sono importanti. Politicamente, è una mascalzonata ed è la sola motivazione: scavalcando Polonia, Ucraina, Paesi Baltici, Putin li punisce. Ne approfitta per triplicare ex abrupto il prezzo del petrolio consegnato all'Ucraina esangue e raddoppiare quello che esige dalla Georgia.
Il brutto colpo Schröder-Putin oltrepassa le questioni di soldi. Negli otto anni di regno dell'ex Cancelliere, i suoi servizi segreti hanno collaborato con quelli russi (l'FBS) in Cecenia. L'asse Parigi- Berlino-Mosca ha coperto l'abolizione delle libertà ottenute con Gorbaciov e con l'incostante Eltsin. Il ripristino della 'verticale del potere', cioè dell'autocrazia, la confisca dei mass media, la ripresa in mano dell'economia da parte dei prediletti del Cremlino, la carcerazione dell'oligarca recalcitrante Khodorkovski, la messa sotto tutela, addirittura la proibizione de facto delle Organizzazioni non governative internazionali, il soffocamento delle libertà pubbliche, non hanno dato fastidio allo Schröeder Cancelliere, così come i missili SS20 sovietici impiantati in terra tedesca-orientale non avevano turbato il giovane Gerhard pacifista.
A proposito del suo compagno russo, Schröeder non dice forse che 'Putin è un democratico puro'? E Chirac, tanto per rincarare la dose, che 'La Russia è in primo piano tra le democrazie per il dialogo delle culture e il rispetto dell'altro '? Ed ecco Putin mettere i puntini sulle i: 'la disgregazione dell' URSS è la catastrofe peggiore del XX secolo'. Le cose sono chiare. Non c'è ritegno nella corsa al profitto. Quando Chirac non guiderà più i destini della Francia, guiderà quelli di Gazprom-France?
Petrolio iracheno contro cibo, il traffico è stato appetitoso per molti intermediari occidentali. Petrolio russo contro sangue ceceno, contro l'avvenire dell'Ucraina, contro la prosperità della Polonia e dei Paesi Baltici: ecco, in denaro contante, quel che ne ricava un ex Cancelliere socialista»
2) Il gasdotto in questione unisce la cittadina russa di Babayevo alla tedesca Greifswald passando per 1200 chilometri sul fondo del mar Baltico: così evita di passare attraverso la Polonia, l'Ucraina o i Paesi Baltici, la «nuova Europa» alleata all'asse israelo-americano. Ostile a Mosca, la «nuova Europa» voleva però incassarne le royalty di passaggio e le forniture energetiche a prezzi di favore. Putin ha detto all'Ucraina che d'ora in poi, se lo vuole, deve pagarsi il petrolio russo ai prezzi mondiali. Che sono il triplo di quanto l'Ucraina paga attualmente, in base a vecchi accordi con Mosca.
3) Gary Parkinson, «Goldmans hires EU's Super Mario», Independent, 14 dicembre 2005.


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da effedieffe.com

PECORI GIRALDI

Maurizio Blondet
18/10/2005

Il Financial Times, nell'edizione week-end del 16 ottobre (1), così prescrive: «se siete un multimiliardario, non basta avere una barca. Dovete avere un super-yacht; una macchina da corsa di 30metri con computer, alta tecnologia e tutti i gadget elettronici del caso».
Ma avverte con dovizia di particolari che per questo tipo di yachting, dove «la barca» costa 10 milioni di dollari e l'equipaggio e le spese di manutenzione ne costano altri 2 (milioni), «il reddito di un semplice miliardario non basta».
Ad avere quei superpanfili da corsa, che partecipano a tutte le regate internazionali anche se fanno presenza fissa in Costa Smeralda, sono davvero pochi.
Gli invidiatissimi: pensate come soffrirà D'Alema, proprietario di panfilo da regata del costo di soli 900 mila euro, che al confronto è un gommone.
Persino l'Espresso ha dovuto segnalare che il panfilo di D'Alema ha un «arredamento spartano», avendo l'armatore-proprietario preferito spendere quel che si deve nell'albero «in fibra di carbonio».
Quando si è costretti a fare scelte così dolorose, non si è davvero ricchi.

In realtà, la mia attenzione è stata richiamata sui nomi di italiani che compaiono in quell'articolo per pochi sul Financial Times.
Uno è Luca Bassani Antivari, ma non ci scandalizzerà: è il designer di questi super-panfili high-tech, da 30 metri e 20 miliardi di vecchie lire, della classe «Wally».
Ma un altro è il nome di un padrone di uno di questi «Wally», battezzato Tiketitan.
Si tratta di Galeazzo Pecori Giraldi. «the italian investment banker», spiega il Financial Times laconico, come non ci fosse bisogno di altre presentazioni.
Non è un nome, lo ammetterete, che appare spesso nelle cronache economiche.
Uno di quei nomi così rispettati da essere poco citati: altro che Lapo Elkann, altro che Gianni Agnelli.
Come fa Galeazzo Pecori Giraldi a guadagnare tanti soldi, da permettersi uno yacht che costa 3 miliardi l'anno solo per pagare l'equipaggio?
Che cosa fa per avere tanti quattrini da far sentire poveri i miliardari?


D'accordo, Galeazzo è il presidente della Morgan Stanley, superbanca d'affari transnazionale.
Inoltre, è presidente del Credito Fondiario Industriale, della SIB (società di aste immobiliari), della Fonspa (sempre immobiliari) e consigliere della Asso Immobiliare.
Ma una breve ricerca su internet mi rende chiaro che Pecori Giraldi, il Galeazzo, è presente in così tante associazioni e occasioni da tempo libero, da obbligarci a chiedere quando trova il tempo per lavorare onde restare un super-ricco.
Per esempio non manca mai di partecipare alla «Mille miglia storica» di Brescia e ad altre manifestazioni d'auto d'epoca in giro per il mondo, al volante della sua Bugatti - un altro suo costoso hobby, visto che la Bugatti costerà, in manutenzione, un ulteriore pacchetto di miliardi.
Poi è consigliere del Touring Club; del FAI, Fondo Ambiente taliano, che raduna ecologisti di lusso, per lo più proprietari di magioni storiche; e di «Milano per la Scala», associazione di munifici preoccupati delle sorti del cosiddetto «tempio della lirica».
Ma tutte queste associazioni sono, par di intuire, altrettante fonti di spesa più che di introiti.
Il Galeazzo passa pochissimo tempo in ufficio: un giorno è in USA o Giappone con la sua Bugatti, l'indomani in Australia all'asta dei super-yacht Wallis, il giorno dopo a Porto Cervo a farsi fotografare con la ciurma di «Mascalzone Latino» insieme a tutti gli altri «mascalzoni latini».


Galeazzo Pecori Giraldi è l'illustrazione vivente della regola non scritta: i veri ricchi non lavorano mai.
Vi chiedete quante tasse paga?
In Italia, non appare nemmeno nelle liste dei maggiori contribuenti, dove invece ci sono notai ricchissimi (ma non abbastanza da mantenere un Tiketitan) e Berlusconi.
Altra verità non scritta: i veramente ricchi non pagano imposte.
Quasi sempre le loro Bugatti e Tiketitan figurano proprietà di società con sede legale alle Cayman o alle Grenadines, la cittadinanza dei super-ricchi è spesso in USA (25 % d'imposta sul reddito) come certamente accade al presidente della Morgan Stanley, e i loro emolumenti sono in stock options o figurano come «capital gains»: guadagni di rischio, e mica vorrete far pagare le tasse sul rischio.
I veri ricchi non risultano proprietari né di un'utilitaria né di una casa.
Scelgono loro a quale Paese (non) pagare le imposte; sanno come profittare di tutte le regole di elusione fiscale, di tutti i modi di evitare «doppie tassazioni», regole che sono state scritte apposta per loro.


I veramente ricchi non lavorano e non pagano tasse.
Non appaiono nelle cronache mondane, né in quelle economiche.
Nessuno fa pettegolezzi su di loro.
Sono protetti da una loro massoneria che è superiore e più segreta di tutte le altre.
Qualcosa però l'intoccabile Galeazzo ha sborsato.
L'amministratore straordinario Bondi, curatore del fallimento Parmalat, ha fatto sputare alla Morgan Stanley un risarcimento di 155 milioni di euro alla stessa Parmalat.
Bondi s'era fatto la strana idea che le grandi banche, d'affari e no, facendo prestiti a Tanzi e poi rapidamente sbolognando i titoli di credito relativi ai piccoli risparmiatori, «abbiano contribuito alla frode finanziaria» né più nè meno di Tanzi.
Ed ha minacciato di portarle davanti ai giudici.
Beh, la Morgan Stanley ha cacciato senza fiatare 155 milioni di euro.
E in una rara intervista Galeazzo Pecori Giraldi s'è persino rallegrato di quell' «accordo» con Bondi: pur di evitare azioni legali.
Evidentemente, fatti due conti fra una regata e l'altra, avrà calcolato che a mettere di mezzo i tribunali la banca rischiava di pagare tre o dieci volte di più.

Il che ci induce ad azzardare la terza verità non scritta: i veri ricchi non guadagnano mai.
Spendono soltanto.
Ma credete che dopo l'esborso la Morgan Stanley abbia ridotto gli emolumenti al Galeazzo?
Niente di più sbagliato.
Galeazzo è volato in Australia sì per vendere il suo Tiketitan da America's Cup, ma per comprarsi uno yacht più costoso.
Quarta verità: i veri ricchi non pagano mai dazio.
Non pagano tasse, non lavorano, non guadagnano ma solo spendono.
Siamo noi che guadagniamo per loro.
Noi che li facciamo ricchi.
Noi che lavoriamo parecchio, che paghiamo tutte le tasse e in più il mutuo della casa ai banchieri e le rate per l'utilitaria, sempre ai banchieri.
Siamo noi che abbiamo bisogno di guadagnare: per loro, per lorsignori.

Maurizio Blondet

Note
1) Victor Mallet, «The haves and have-yachts», Financial Times, 15-16 ottobre 2005.

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I 5 PAPABILI PER PALAZZO KOCH
da Repubblica.it


Tommaso Padoa-Schioppa, nato a Belluno, 64 anni, ha lavorato alla Banca d'Italia e alla Commissione Europea. E' stato, per un breve periodo, dal 1997 al 1998, anche presidente della Consob. Dal primo giugno 1998 fino al maggio scorso, è stato nel comitato esecutivo e nel consiglio direttivo della Banca centrale europea. In questi anni si è occupato in particolare di relazioni internazionali e vigilanza bancaria


Vittorio Grilli, 49 anni, dopo aver guidato per tre anni la Ragioneria di Stato, è il nuovo direttore generale del Tesoro. Dal'86 al '90 è stato professore di economia a Yale. Importante il suo contributo nell'ambito del comitato per le privatizzazioni e nell'opera di razionalizzazione del debito pubblico


Su Mario Monti grava la perplessità del Polo che lo considera oramai già troppo dentro il gioco politico. "Nei mesi scorsi - si ricorda negli ambienti di governo - gli avevano offerto la presidenza della Bei, la banca di investimenti europei. Ha preferito la Goldman Sachs, evidentemente per non impegnarsi troppo con noi". 61 anni, già commissario europeo alla concorrenza e al mercato interno, fu rettore dell'università Bocconi di Milano


Vincenzo Desario, 72 anni, una carriera in Banca d'Italia, oggi direttore generale. Si occupò alla fine degli anni '60 dei casi bancari più clamorosi tra cui la Banca Unione di Roberto Calvi di cui diventò anche commissario provvisiorio dopo lo scioglimento degli organi amministrativi. Nel '91 fu delegato della Banca d'Italia al Fondo interbancario per la tutela dei depositi. Contribuì all'elaborazione del testo unico in materia bancaria


Mario Draghi, ha retto la direzione generale del ministero del Tesoro per dieci anni dal '91 al 2001. Lasciò l'incarico a Domenico Siniscalco per una cattedra ad Harvard. Laureato a Roma, oggi è vicepresidente della Goldman Sachs, la più importante banca internazionale di investimenti